00 06/01/2010 17:41
Autobiografia di una repubblica


di Giorgio Fontana

Il libro di Crainz è, per molti versi, il libro ideale per chiudere questo anno difficile. Di fronte all'accumularsi delle crisi (economica, politica, sociale, giovanile, di etica pubblica), una delle domande più ricorrenti è "Come siamo arrivati a questo punto?" O ancora: "Siamo sempre stati così?"
La ricerca incessante di un'origine, di una ragione di questa decadenza stringe in una morsa tutte le generazioni, come se la risposta potesse liberare una speranza — il momento è grave ma transitorio — o una sorta di amara certezza — l'italianità è in qualche modo bacata fin dall'origine. Non si tratta, insomma, di una domanda banale.

Di fronte ad essa, Crainz assume un atteggiamento estremamente rigoroso. Si tura le orecchie di fronte alle sirene della generalizzazione, o alle analisi che pretendono di scovare una "italianità perenne" (fin dai tempi del "particulare" di Guicciardini).
Al contrario, limitando con coerenza lo spettro d'analisi, indaga la continuità di un fascismo dimenticato troppo rapidamente dalla Repubblica. In questa matrice concreta si troverebbe dunque la vera origine del male politico contemporaneo: la cosa "troppo seria perché si possa pensare di potersene liberare con un volger di mano", come diceva Togliatti, e che continua a trasparire nell'intera storia democratica.

Eppure, com'è noto, gli auspici del primo dopoguerra sembravano molto generosi: l'energia comunista, la Costituzione, il boom economico. A innescare una controtendenza sarà proprio, secondo Crainz, una classe politica incapace di cogliere il vero senso delle trasformazioni — di comprendere l'Italia alla stessa velocità con cui essa stava cambiando. E a nulla serviranno il Sessantotto o i terribili anni di piombo, o l'illusione straziante degli anni Ottanta: di fondo, l'impossibilità di realizzare una democrazia compiuta trascinerà il paese fino alla crisi di Tangentopoli, e al vuoto demagogico che ne seguirà.

Il viaggio attraverso questi sessant'anni è documentato in maniera encomiabile, e Crainz sa sposare sintesi e precisione con grande maestria. Scorrono davanti ai nostri occhi i grandi movimenti operai, la crisi del centrosinistra, l'eterno problema della corruzione, il delitto Moro, il craxismo come modello terminale, e infine l'epoca berlusconiana. Una cavalcata di duecento pagine che non perde tensione proprio perché nulla, nella nostra storia recente, sembra essere privo di tensione e contraddizione.

A fine lettura, rimane solo il timore che un'altra autobiografia sia sempre presente in questo Paese — quella "autobiografia della nazione" che fu il fascismo, come diceva Gobetti.
Dunque, di nuovo: anomalia di conio recente o riedizione di un carattere sempre identico? Crainz sceglie una via di mezzo sana, da storico attento e consapevole delle tante crepe di una democrazia eternamente in crisi. E se la sua analisi sembra peccare in qualche modo di un'autentica risposta alla domanda — una via antropologica, filosofica, concettuale — fornisce tuttavia degli strumenti fondamentali per costruire tale risposta.
Ci consegna insomma un quadro coerente del passato che fu, nel quale il nostro presente si rispecchia in pieno — nel quale le nostre inquietudini trovano radice e spiegazione. Il resto del lavoro è compito di chi verrà.

Autobiografia di una repubblica
di Guido Crainz
Donzelli, 241 pagine, 16,50 euro



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