00 15/11/2008 22:03
Milano riaccoglie i lavori di Burri
MILANO - Singolare destino, quello del muro di Berlino e del "Teatro Continuo" di Alberto Burri, la macchina scenica progettata dall'artista padre dell'informale materico per il parco Sempione in occasione della Triennale del 1973, composta di sei quinte d'acciaio alte sei metri su un basamento di cemento di oltre dieci metri di lunghezza. In quel 1989 vengono abbattuti entrambi, nel bene e nel male, chi simbolo di una svolta epocale, chi testimonianza di una disinvolta e poco riflessiva amministrazione cittadina. Tanto che lo stesso Burri, il geniale maestro italiano che per primo, dopo aver scontato gli orrori del secondo conflitto mondiale, dava dignità artistica a sacchi di juta, a plastiche, a pietre e legni, a materiali poveri, figli di una quotidianità fino ad allora mortificata dal preconcetto della banalità, dichiarava che non avrebbe mai più esposto a Milano. Chissà se Alberto Burri, scomparso nel '95 a ottant'anni, avrebbe visto oggi con compiaciuta soddisfazione la grande retrospettiva che gli dedica la Triennale fino all'8 febbraio sotto la cura di Maurizio Calvesi e Chiara Sarteanesi come risarcimento.

Sicuro se ne compiacerà il pubblico che per l'occasione avrà un repertorio di lavori storici - compreso qualche inedito - che documentano l'intera parabola della sua straordinaria rivoluzionaria produzione, dove fanno assai gola per gli appassionati del contemporaneo il ciclo dei "Neri" realizzato tra il 1986 e l'87, composto da dieci cellotex di due metri e mezzo d'altezza per tre metri e mezzo di lunghezza, mai esposti precedentemente in nessuna sede, e le "Architetture con cactus" del 1991, costituito da dieci cellotex (1,30 x 2,50 m) presentato al pubblico nel 1992 ad Atene e fra la fine del 1994 e l'inizio del 1995 presso l'Istituto Italiano di Cultura a Madrid, ma mai sbarcano in Italia. Opere-murales che rivelano l'interesse espressivo degli ultimi anni di attività di Burri. Ma ancora prima, secondo un percorso crono-tematico, ci sono tutte le sue provocazioni artistiche, saggi di una ricerca febbricitante nell'espressività della materia, documenti di una magnifica stagione "maledetta" dell'arte, con i suoi cinquant'anni di sperimentazioni in tutte le possibili vie alternative alla pittura, sfoggiando catrame e vecchi sacchi di juta al posto di colori, riuscendo ad orchestrare sulla tela tutta la suggestione della pietra pomice, il lirismo di segatura e polvere di alluminio, la fierezza di plastiche combuste, la forza ritmica di legni e ferri arrugginiti.

Ecco che si ricostruisce tutto il gioco spericolato alla scoperta della bellezza nella materia più "rifiutata". Dalla fine degli anni Quaranta, quando l'artista umbro di Città di Castello, debuttava con i suoi rivoluzionari sacchi vecchi e logori, pieni di dozzinali cuciture e rammendi, raggiungendo subito, in barba a scandali e polemiche, una affermazione internazionale. Prima c'erano stati la sua giovanile formazione, gli studi universitari di medicina e l'esperienza della seconda guerra mondiale che prima lo confina diciotto mesi in Tunisia prigioniero degli inglesi, poi lo catapulta altri diciotto mesi nel campo di prigionia americano di Hereford, nel Texas. Mesi in cui cominciava a dipingere le desolate e infuocate distese di terra che vedeva al di là del recinto di detenzione. Poi la svolta, figlia di una intuizione visionaria e coraggiosa, trasfigurando la pittura a prelievo diretto della materia per sublimarla in arte, recuperando l'idea dei collage cubisti di Picasso e quelli futuristi di Prampolini, e quelli dada di Schwitters. La mostra sfoggia tutte le sue creature. I suoi Neri, i suoi Gobbi - i quadri con rilievi prodotti da protuberanze disposte dietro la tela - le sue Muffe. E poi i Sacchi, laceri, logori, strappati, ricuciti, rattoppati, icone di un esistenzialismo contemporaneo, seviziato dalle guerre, intriso di sangue e ferite di genocidi e stermini, acme dell'Informale materico che scorreva burrascoso tra vecchio e nuovo continente.

Ancora, le sue Combustioni, dove subentrano le plastiche bruciate sulla tela e Burri introduce l'uso del fuoco come mezzo espressivo. Ecco nuovi materiali come i Ferri, quando dalla ricchezza cromatica sontuosa e "barocca" passava ai monocromi delle lamiere traslucide, oppure trasfigurate col fuoco in lastre opalescenti dal riverbero acceso. E i legni, carbonizzati, travi da imballaggio, riciclati ad arte, con ancora incisi simboli di una genesi di schietta quotidianità. Le Plastiche bruciate che giocano con l'effetto della stratificazione, come a voler creare un effetto tridimensionale dello spazio scenico della tela. I cretti, misture di caolino, vinavil stese sulla tela, lasciate ad essiccarsi per ottenere una superficie solida dove spaccature e crepe diventano una coreografia di segni. E i Cellotex, pigmenti tipici degli anni Settanta. Fino alle creazioni degli ultimi vent'anni dell'artista, dove la formula del Cellotex diventa il terreno per un divertissement di tecnica virtuosistica, come i cellotex con inserti di oro in Foglia, elemento che risplende nelle superfici in nero opaco nella serie del Nero e Oro del 1993 ed evidenzia le crepe scabre dei cretti nella serie Cretto Nero e Oro del 1994.

La rassegna ha il pregio anche di rivelare un'attività di Alberto Burri poco nota al grande pubblico, quella di scenografo. Il teatro resta una delle grandi passioni di Burri che scalpita nelle scene e nei costumi concepiti per "Spirituals" (1963), spettacolo che debutta a Milano alla Scala, nei costumi per il balletto November steps (1972), prestato dal Teatro dell'opera di Roma, i bozzetti del 1975 per il Tristano e Isotta di Wagner per il Regio di Torino. Viene documentata, inoltre, parte della produzione seriale dell'artista. Burri è stato un grande sperimentatore anche nell'ambito della grafica, come dimostrano i Monotex, assemblaggi di cartoncini realizzati direttamente dall'artista senza la mediazione dello stampatore. E per avere una conoscenza più intima delle sue creazioni, per capire di più il portentoso gioco scenico di sacchi e plastiche, ecco le fotografie che lo ritraggono all'opera, in fermento creativo, in una sorta di reportage che documenta ebbrezza e accanimento di uno spirito artistico sulla materia. Grande suggestione suscita la sequenza dei dodici scatti di Aurelio Amendola che ritrae Burri mentre "dipinge" la plastica. Lo si intravede sfuocato dietro il "lenzuolo" opaco della plastica, ancora intatta, con la fiamma accesa, e ancora mentre la brucia e ferma la combustione, ritraendo il fuoco che ha reso più docile la materia, plasmandola con le mani, fino alla conclusione dell'opera.

Notizie utili - "Alberto Burri", dall'11 novembre all'8 febbario, Triennale di Milano, Viale Alemagna 6. La mostra è curata da Maurizio Calvesi e Chiara Sarteanesi.
Orari: martedì-domenica 10.30-20.30, giovedì 10.30-23, chiuso lunedì.
Ingresso: intero €8, ridotto €6.
Informazioni: telefono 02724341, www.triennale.it
Catalogo: Skira.