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gala1111
00venerdì 15 ottobre 2004 16:49
da DIRITTO e GIUSTIZIA di giovedì 14 OTTOBRE -ORE 11:42-



Scuole forensi: quelle degli Ordini uber alles


Ancora contrasti tra avvocati e università sulle scuole di formazione per le professioni legali. Nella riunione di ieri della commissione Siliquini non sono stati fatti passi avanti tra le opposte visioni sulla formazione di avvocati e accademia. Stallo al quale ha probabilmente contribuito l'assenza del rappresentante del Consiglio nazionale forense (ieri il Cnf era in audizione da Ciampi) che in quete settimane ha sta provando a trovare mediazione.
Chi conta di più? I professori continuano a ribadire la strada del doppio binario, scuole universitarie da un lato e scuole forensi dall'altro, con un meccanismo da definire di accreditamento per queste ultime, che possa fornire adeguate garanzie sull'affidabilità. Per gli avvocati, quantomeno per Organismo unitario dell'avvocatura e Associazione italiana giovani avvocati, il discorso va letteralmente capovolto: il cuore della formazione dev'essere delle scuole gestite da ordini e associazioni, a quelle universitarie va assegnato un ruolo secondario, sotto forma di stage o di integrazioni di altro tipo. Il presupposto dei legali e che le scuole debbano avere un'impronta prevalentemente pratica, finalizzata all'esercizio della professione e non ridursi ad una mera ripetizione del corso di studi universitario.
Da tutto questo quadro emerge il progressivo svanire dell'ipotesi della formazione obbligatoria per l'accesso alla professione. Da stime effettuate emerge infatti che le scuole gestite dagli ordini potrebbero formare circa 5mila persone, più o meno la stessa cifra di quelle universitarie. In totale, neanche un terzo del numero di candidati che ogni anno fanno domanda (nel 2002 sono stati quasi 35 mila). Cifre che dimostrano come, qualunque sia la vocazione delle scuole, queste resteranno uno dei due canali di accesso alla professione accanto a quello tradizionale del biennio di pratica.
Il valore del titolo. L'altro tema di scontro è la spendibilità del titolo delle scuole. Secondo i professori deve essere immediatamente utilizzabile per gli esami, eliminando l'ulteriore anno di pratica previsto attualmente e consentendo un esame d'abilitazione facilitato. Tesi che si fonda sul fatto che la pratica è parte integrante del programma delle scuole e sulla considerazione che il percorso formativo, tra i cinque anni di università, i due delle scuole e l'ulteriore anno di pratica, raggiungerebbe gli otto anni complessivi. Naturalmente, per coloro che fanno tutto nei tempi previsti.
Gli avvocati hanno ribattuto che se "bonus" cui dev'essere questo deve valere per tutte le professioni interessate dalle scuole, ovvero anche magistrati e notai.
Siliquini ottimista. Il sottosegretario al Miur, Mariagrazia Siliquini, ostenta ottimismo e sgombra il campo dalle ipotesi che la commissione si possa limitare ad operazioni di "maquillage". La senatrice di An ha infatti chiarito che: "La Commissione ha un ampio mandato per studiare un progetto di riforma complessivo sulle scuole di specializzazione per le professioni legali. È nata con questo scopo e non quello di effettuare piccoli ritocchi".
L'obiettivo rimane quello di dare "una risposta ai giovani laureati che pretendono un percorso formativo più completo rispetto all'attuale, nel quale si coniughi la teoria con la pratica. Un percorso unitario che comprenderà lezioni teoriche professionalizzanti accanto al tirocinio professionale e che sarà pienamente raccordato con la prossima riforma del corso di laurea in Giurisprudenza". Una dichiarazione nella quale tutti potrebbero riconoscersi e che sposta in avanti il momento delle scelte.
Si è dichiarato ottimista anche Antonio Padoa Schioppa, ex presidente della Conferenza dei presidi e membro della commissione Siliquini: "Esistono delle differenze ma è normale che sia così e sono meno importanti di quello che sembrano. Rimango fiducioso che alla fine si troverà una soluzione condivisa". Padoa Schioppa ha molto insistito sugli elementi di affinità tra professori e avvocati: "Siamo d'accordo su cosa debbano essere le scuole, sui metodi di preparazione agli esami, sull'incentivazione dei titocinii, sulla presenza paritaria all'interno delle scuole di avvocati, magistrati, docenti e notai, sulla necessità di prevedere prove in itinere, una prova d'ammissione tra primo e secondo anno e una prova finale rigorosa ed uguale per tutte le scuole".
Tutte posizioni, ha spiegato Padoa Schioppa ampiamente condivise, soprattutto sul fronte degli avvocati, dal Consiglio nazionale forense.
La divergenza che rimane (e non da poco è quella sul modello di fondo): "C'è chi ritiene - ed io tra questi - che si debba seguire il modello tedesco della formazione comune che consenta agli avvocati di avere un'esperienza, seppure embrionale, dell'attività dei magistrati e viceversa. C'è invece, come ad esempio l'Aiga, che preferisce un modello si stampo francese nel quale l'avvocato è formato solo dagli avvocati. Due impostazioni diverse, entrambe legittime, che possono coesistere".
Per il presidente dell'Aiga, Mario Papa, quello di Padoa Schioppa "è un ottimismo della volontà e non della ragione. Il doppio binario, scuole degli ordini è scuole universitarie, è una strada sulla quale non si può più proseguire".(m.t.)





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