Romanzo criminale

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-Beppe-
00venerdì 14 ottobre 2005 12:58
I sogni dell’età adulta sono una cosa diversa per tre ragazzi della periferia romana:se lo dicono da ragazzini che non trascorreranno la vita a timbrare cartellini,ad attendere la moglie a casa,ad allevare figli;se lo dicono già alla prima impresa,il furto d’una macchina per scappare e “fumare” un po’,per essere subito inseguiti dalla polizia:la prima di tante imprese che da grandi faranno di loro tre re di Roma(la Roma corrotta,puttana e traditrice),e per cui sceglieranno i proprio nomi:il Libanese,il capo vero,il Freddo e il Dandi,fratelli e discepoli.per accaparrarsi tutto:il mercato della droga e della prostituzione e,tavolta,al servizio anche dello Stato.
La più terrificante banda di criminali che la storia recente d’Italia ricordi.
Sono tre lustri della nostra storia quelli che Placido racconta,dalla fine degli anni ’70 ai primi ’90,convocando la memoria di chi c’era e l’attenzione di chi dovrebbe sapere,anche per non ripetere gli stessi errori;e si affida al romanzo magmatico di Giancarlo De Cataldo(che sceneggia anche con Rulli e Petraglia) per far coincidere discorso politico e narrazione realistica.
A chiunque non abbia letto il romanzo(630 pagine che scorrono velocissime come le vicende che racconta) molti passaggi risulteranno oscuri,i personaggi non vengono presentati ma li si fa parlare immediatamente,la caccia non è spiegata,la violenza è trascritta letteralmente senza possibilità di comprenderne il perché.
Da subito il film paga una sintesi che si poggia quasi completamente sul dialogo brutale, e si ha la sensazione di una eccessiva compressione delle situazioni che impone allo spettatore di seguirlo in ogni secondo,o di perdere la tesissima ragnatela di intrecci.
Quasi inevitabile che si perdano molti personaggi,soprattutto secondari,che dipingevano a loro modo l’ambiente in cui i capi si muovevano,e l’elenco è decisamente lungo:da Trentadenari a Nembo Kid(e la sua compagna Donatella),dall’infermiera Vanessa alla terrorista Sandra Belli,dal poliziotto corrotto Fabio Santini a Zeta e Pigreco,i due ruffiano del Vecchio,qui sostituiti dal Carenza di Gianmarco Tognazzi,sorta di uomo invisibile che sta alle spalle di ogni crimine.
Basta questo per limitare l’importanza di un film rischioso e lucido?No,perché i suoi meriti sono altri,e vanno molto oltre.
Placido compone una lunga galleria di situazioni che hanno il proprio sangue nel ventre di quella Roma matronale e sordida(magnificamente fotografata da Luca Bigazzi),che concede ai suoi figli di essere temibili despota per riacciuffarli e ricacciarli negli angoli da dove sono venuti,che fa cadere su di loro le pareti di quel potere di cui sono padroni nella misura in cui sono vittime.
Da ogni inquadratura affiora la spirituale insofferenza del regista verso l’estetica della violenza,l’impaginazione che abbellisce,come tanto cinema americano,il disgusto che così va chiamato,perché chi guarda non è chiamato ad accettare ciò che vede ma deve sapere,perché questo cinema elude il confronto con il cinema di genere americano( e quello sì che era “romanzo”) per rifarsi al discorso politico e sociale nato nel solco delle opere di Petri o Rosi.
Il Libanese,il Freddo,il Dandi (e con loro Fierolocco,Scrocchiazeppi,il Sorcio,i fratelli Buffoni,il Nero) sono criminali,ma chi li insegue non vi si discosta più di tanto:la differenza è di scelte,ma non necessariamente di etica.
Per far questo,Placido si affida ad un cast virile di profonda plausibilità fisica ed emotiva,tutti meritevoli di menzione.
Pierfrancesco Favino col suo Libanese ha carattere,rabbia,urlata seduzione a cui Placido concede una struggente uscita di scena.
Kim Rossi Stuart è un freddo meno laconico di quanto non lo sia quello del libro,ma nello scoprirsi solo e nella testardaggine della sua vendetta per la fratellanza tradita da al suo personaggio una rancore principesco.
Claudio Santamaria disegna il suo Dandi come un vilain che nell’accedere al potere che lo rende incolume,ne diventa una spaventosa parodia.
Stefano Accorsi mostra l’inflessibilità di una giustizia che raramente sembra tale,animata da un principio che è più del cacciatore di taglie che del poliziotto,che diventa ragione di vita quando nel cuore le passioni cominciano a tacere.
Convince un po’ meno Riccardo Scamarcio,forse ancora troppo “candido” e senza ombre per esprimere l’oscura filosofia del Nero,che qui viene privato della sottile fratellanza con Freddo,
Spiace,inoltre,constatare l’esiguità dello spazio riservato alle figure femminili che nel romanzo avevano un respiro molto ampio:Anna Mouglalis,antilope d’Oltralpe,non ha in Patrizia(o Vallesi Cinzia) quella fortezza affascinante e scettica descritta sulla carta,ma una donna da conquistare e da rubare;e Jasmine Trinca conferma,per nell’assottigliarsi del personaggio,conferma la franchezza di un talento con questa sua delicata creatura,che ha l’apice dell’intensità nei suoi duetti con Rossi Stuart.
A parte poi vann menzionati il pensosoVecchio di Toni Bertorelli,sempre essenziale e imponente,quasi un Nosferatu del Potere,e l’impressionate Terribile di Massimo Popolizio.
All’inizio e alla fine la storia parte e si conclude con la tenerezza e la malinconia del confessioni tra ragazzi,con l’eccitazione per i successi di domani,dove invece delle speranze germoglieranno i sentimenti governati dalla eterna banalità del Male e dal suo fascino tragico.
Per le sue macroscopiche imperfezioni,e per le correzioni a queste stesse grazie ad uno stile veemente e senza soste,un film da vedere e,forse,rivedere.



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