POLITICA E MERCATO:I fallimenti dello stato

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DarkWalker
00domenica 30 marzo 2008 13:17
Dal CorSera

POLITICA E MERCATO
I fallimenti dello Stato

di Angelo Panebianco

In tempi di recessione il mito del «despota benevolo», dello Stato che si fa carico del bene comune contro gli egoismi del mercato, riprende inevitabilmente forza. Il mercato viene messo allora sotto accusa a causa dei suoi «fallimenti » (oggi si tratta degli effetti di contagio della crisi finanziaria americana innescata dalla vicenda dei mutui subprime). In quei frangenti, un numero crescente di persone si rivolge allo Stato per ottenere protezione dalle conseguenze negative del malfunzionamento dei mercati. Nessuno, o quasi, sembra disposto a porsi la domanda: chi ci proteggerà dal protettore? Altrimenti detto, invocare più Stato contro i fallimenti del mercato è una prassi normale, comprensibile, nelle fasi recessive, ma questo non autorizza a dimenticare che i «fallimenti dello Stato » sono spesso più gravi, e possono avere conseguenze più catastrofiche, dei fallimenti del mercato. Noi italiani dovremmo saperlo meglio di chiunque altro. Si pensi alla società e all'economia meridionali: lì c'è sempre stato un massimo di intervento statale, di intermediazione pubblica, un massimo di Stato «protettore».

A qualcuno sembra che ciò abbia mai giovato alle condizioni della Campania, della Calabria o della Sicilia? A dispetto dei suoi tanti critici, la cosiddetta «globalizzazione », la brusca accelerazione dell'interdipendenza economico-finanziaria internazionale iniziata nei primi anni Novanta del secolo scorso, ha prodotto soprattutto effetti positivi: ha regalato una lunghissima fase di prosperità all'Occidente e, fuori di esso, ha strappato alla povertà milioni e milioni di persone. Inoltre, si è accompagnata a una diffusione delle libertà politiche nel mondo che non ha precedenti. Oggi, per la prima volta nella storia, democrazie e semi democrazie sopravanzano numericamente le autocrazie fra i regimi politici del mondo. Non è che la diffusione del mercato produca meccanicamente la diffusione delle libertà politiche. I rapporti fra mercato e democrazia sono complessi e in parte ancora oscuri: talvolta, lo sviluppo dell'economia di mercato aiuta l'affermazione della democrazia, altre volte è la democrazia che, consolidandosi, favorisce l'economia di mercato e, altre volte ancora (è il caso della Cina), l'economia di mercato coesiste a lungo con l'autocrazia politica. Però, è innegabile l'esistenza di una tendenza generale che vede associate la diffusione delle libertà economiche (di mercato) e quella della libertà politica.

Oggi si assiste a un’inversione di tendenza. Si chiedono, in America come in Europa, barriere contro la concorrenza, limiti alla circolazione dei capitali, eccetera. Ovunque si punta a un maggior ruolo nell'economia del comando politico. Ma, attenzione, il «ritorno dello Stato » non è di oggi. Possiamo dire che la sua rentrée sia iniziata dopo i fatti dell'11 settembre 2001. Ossia, con il ritorno della guerra dopo la decennale parentesi seguita alla fine della Guerra fredda. Gli anni Novanta sono stati infatti il vero decennio della globalizzazione, una sorta di Belle époque nella quale crollarono le spese militari, la diffusione della democrazia nel mondo assunse ritmi tumultuosi, l'economia di mercato portò benessere anche dove non se n'era mai visto, la politica sembrò per un momento ritrarsi dalla scena.

Dopo l'11 settembre, la politica (e dunque lo Stato), si riprese molti dei privilegi che aveva perduto nel precedente decennio. Come è inevitabile quando la sicurezza torna a essere un tema dominante. E ciò rallentò, come molti analisti osservarono, la corsa (che era stata sfrenata per tutti gli anni Novanta) della globalizzazione. Le spinte recessive di oggi sembrano portare a compimento il processo: la politica pare riacquistare pienamente un primato in precedenza indebolito. A riprova del fatto che non esistono nelle vicende umane processi «irreversibili» la spinta propulsiva propria della globalizzazione dei mercati, per effetto della rivincita della politica, probabilmente si affievolirà. Tutto questo è forse inevitabile ma a differenza di coloro che si limitano ad applaudire il ritorno della politica e auspicano che essa riesca a imbrigliare i mercati, io penso che ci saranno anche grossi prezzi da pagare: sotto forma di minor diffusione sia del benessere sia delle libertà.

Del comando politico non possiamo fare a meno soprattutto perché è a esso che affidiamo la nostra sicurezza. Rallegrarsene però non ha senso. Il comando politico è un «male necessario». In quanto tale va sempre preso con le molle, va maneggiato con prudenza. In fondo, come non ricordare che la democratizzazione della Russia venne bloccata da una guerra (Cecenia) e che l'autoritarismo di Putin è stato alimentato dal forte controllo statale sull'economia?

30 marzo 2008
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