Caterina63
00lunedì 15 febbraio 2010 20:03
LA MISERICORDIA DI DIO E' PER CHI LO TEME
ABUSO DELLA DIVINA MISERICORDIA
Ignoras, quoniam benignitas Dei ad poenitentiam te adducit? (Rom 2,4)
PUNTO I
Si ha nella parabola della zizania in S. Matteo (Matth 13) che essendo cresciuta in un campo la zizania insieme col grano, volevano i servi andare ad estirparla: "Vis, imus, et colligimus ea?". Ma il padrone rispose: No, lasciatela crescere, e poi si raccoglierà e si manderà al fuoco: "In tempore messis dicam messoribus, colligite primum zizania, et alligate ea in fasciculos ad comburendum". Da questa parabola si ricava per una parte la pazienza che il Signore usa co' peccatori; e per l'altra il rigore che usa cogli ostinati. Dice S. Agostino che in due modi il demonio inganna gli uomini: "Desperando, et sperando". Dopo che il peccatore ha peccato, lo tenta a disperarsi col terrore della divina giustizia; ma prima di peccare, l'anima al peccato colla speranza della divina misericordia. Perciò il santo avverte ad ognuno: "Post peccatum spera misericordiam; ante peccatum pertimesce iustitiam". Sì, perché non merita misericordia chi si serve della misericordia di Dio per offenderlo. La misericordia si usa con chi teme Dio, non con chi si avvale di quella per non temerlo. Chi offende la giustizia, dice l'Abulense, può ricorrere alla misericordia, ma chi offende la stessa misericordia, a chi ricorrerà?
Difficilmente si trova peccatore sì disperato, che voglia proprio dannarsi. I peccatori voglion peccare, senza perdere la speranza di salvarsi. Peccano e dicono: Dio è di misericordia; farò questo peccato, e poi me lo confesserò. "Bonus est Deus, faciam quod mihi placet", ecco come parlano i peccatori, scrive S. Agostino. Ma oh Dio così ancora dicevano tanti, che ora sono già dannati.
Non dire, dice il Signore: Son grandi le misericordie che usa Dio; per quanti peccati farò, con un atto di dolore sarò perdonato. "Et ne dicas: miseratio Domini magna est, multitudinis peccatorum meorum miserebitur" (Eccli 5,6). Nol dire, dice Dio; e perché? "Misericordia enim, et ira ab illo cito proximant, et in peccatores respicit ira illius"
(Eccli 5,7). La misericordia di Dio è infinita, ma gli atti di questa misericordia (che son le miserazioni) son finiti.
Dio è misericordioso ma è ancora giusto. "Ego sum iustus, et misericors", disse il Signore un giorno a S. Brigida; "peccatores tantum misericordem me existimant".
I peccatori, scrive S. Basilio, voglion considerare Dio solo per metà: "Bonus est Dominus, sed etiam iustus; nolite Deum ex dimidia parte cogitare".
Il sopportare chi si serve della misericordia di Dio per più offenderlo, diceva il P. M. Avila che non sarebbe misericordia, ma mancamento di giustizia. La misericordia sta promessa a chi teme Dio, non già a chi se ne abusa. "Et misericordia eius timentibus eum", come cantò la divina Madre.
Agli ostinati sta minacciata la giustizia; e siccome (dice S. Agostino) Dio non mentisce nelle promesse; così non mentisce ancora nelle minacce: "Qui verus est in promittendo, verus est in minando".
Guardati, dice S. Gio. Grisostomo, quando il demonio (ma non Dio) ti promette la divina misericordia, affinché pecchi; "Cave ne unquam canem illum suscipias, qui misericordiam Dei pollicetur". Guai, soggiunge S. Agostino, a chi spera per peccare: "Sperat, ut peccet; vae a perversa spe".
Oh quanti ne ha ingannati e fatti perdere, dice il santo, questa vana speranza. "Dinumerari non possunt, quantos haec inanis spei umbra deceperit".
Povero chi s'abusa della pietà di Dio, per più oltraggiarlo! Dice S. Bernardo che Lucifero perciò fu così presto castigato da Dio, perché si ribellò sperando di non riceverne castigo.
Il re Manasse fu peccatore, poi si convertì, e Dio lo perdonò; Ammone suo figlio, vedendo il padre così facilmente perdonato, si diede alla mala vita colla speranza del perdono; ma per Ammone non vi fu misericordia.
Perciò ancora dice S. Gio. Grisostomo che Giuda si perdé, perché peccò fidato alla benignità di Gesù Cristo: "Fidit in lenitate magistri". In somma Dio, se sopporta, non sopporta sempre.
Se fosse che Dio sempre sopportasse, niuno si dannerebbe; ma la sentenza più comune è che la maggior parte anche de' cristiani (parlando degli adulti) si danna: "Lata porta et spatiosa via est, quae ducit ad perditionem, et multi intrant per eam" (Matth 7,13).
Chi offende Dio colla speranza del perdono, "irrisor est non poenitens", dice S. Agostino.
Ma all'incontro dice S. Paolo che Dio non si fa burlare: "Deus non irridetur" (Galat 6,7).
Sarebbe un burlare Dio seguire ad offenderlo, sempre che si vuole, e poi andare al paradiso. "Quae enim seminaverit homo, haec et metet" (Galat 6,7).
Chi semina peccati, non ha ragione di sperare altro che castigo ed inferno. La rete con cui il demonio strascina all'inferno quasi tutti quei cristiani che si dannano, è quest'inganno, col quale loro dice: Peccate liberamente, perché con tutt'i peccati vi salverete.
Ma Dio maledice chi pecca colla speranza del perdono. "Maledictus homo qui peccat in spe". La speranza del peccatore dopo il peccato, quando vi è pentimento, è cara a Dio, ma la speranza degli ostinati è l'abbominio di Dio: "Et spes illorum abominatio" (Iob 11,20). Una tale speranza irrita Dio a castigare, siccome irriterebbe il padrone quel servo che l'offendesse, perché il padrone è buono.
PUNTO II
Dirà taluno, Dio m'ha usate tante misericordie per lo passato, così spero che me l'userà per l'avvenire. Ma io rispondo: E perché t'ha usate tante misericordie, per questo lo vuoi tornare ad offendere? Dunque (ti dice S. Paolo) così tu disprezzi la bontà e la pazienza di Dio? Nol sai che 'l Signore ti ha sopportato sinora; non già a fine che tu lo segui ad offendere, ma acciocché piangi il mal fatto? "An divitias bonitatis eius, et patientiae contemnis? Ignoras, quoniam benignitas Dei ad poenitentiam te adducit?" (Rom 2,4).
Quando tu fidato alla divina misericordia non vuoi finirla, la finirà il Signore. "Nisi conversi fueritis, arcum suum vibrabit" (Ps 7). "Mea est ultio et ego retribuam in tempore" (Deut 32,35).
Dio aspetta ma quando giunge il tempo della vendetta, non aspetta più e castiga.
"Propterea exspectat Dominus, ut misereatur vestri" (Is 30,18).
Dio aspetta il peccatore, acciocché si emendi: ma quando vede che quegli del tempo, che gli è dato per piangere i peccati, se ne serve per accrescerli, allora chiama lo stesso tempo a giudicarlo. "Vocavit adversum me tempus"
(Thren 1,15). S. Gregorio: "Ipsum tempus ad iudicandum vertit".
Sicché lo stesso tempo dato, le stesse misericordie usate serviranno per farlo castigare con più rigore e più presto abbandonare. "Curavimus Babylonem, et non est sanata, derelinquamus eam" (Ier 51,9).
E come Dio l'abbandona? O gli manda la morte, e lo fa morire in peccato; o pure lo priva delle grazie abbondanti, e lo lascia colla sola grazia sufficiente, colla quale il peccatore potrebbe sì bene salvarsi ma non si salverà. La mente accecata, il cuore indurito, il mal abito fatto renderanno la sua salvazione moralmente impossibile; e così resterà, se non assolutamente, almeno moralmente abbandonato.
"Auferam sepem eius, et erit in direptionem" (Is 5,5). Oh che castigo! Che segno è, quando il padrone scassa la siepe, e permette che nella vigna v'entri chi vuole, uomini e bestie? è segno che l'abbandona.
Così fa Dio, quando abbandona un'anima, le toglie la siepe del timore, del rimorso di coscienza, e la lascia nelle tenebre; ed allora entreranno in quell'anima tutti i mostri de' vizi. "Posuisti tenebras, et facta est nox, in ipsa pertransibunt omnes bestiae silvae" (Ps 103,20).
E 'l peccatore abbandonato che sarà in quell'oscurità, disprezzerà tutto, grazia di Dio, paradiso, ammonizioni, scomuniche; si burlerà della stessa sua dannazione. "Impius, cum in profundum peccatorum venerit, contemnit" (Prov 18,3).
Dio lo lascerà in questa vita senza castigarlo, ma il non castigarlo sarà il suo maggior castigo. "Misereamur impio, et non discet iustitiam" (Is 26,10).
Dice S. Bernardo su questo testo: "Misericordiam hanc ego nolo; super omnem iram miseratio ista". Oh qual castigo è quando Dio lascia il peccatore in mano del suo peccato, e par che non gliene domandi più conto! "Secundum multitudinem irae suae non quaeret" (Ps 9). E sembra che non sia con lui sdegnato. "Auferetur zelus meus a te, et quiescam, nec irascar amplius" (Ez 16,42).
E par che lo lasci a conseguir tutto ciò che desidera in questa terra. "Et dimisi eos secundum desideria cordis eorum" (Ps 80). Poveri peccatori, che in questa vita son prosperati! È segno che Dio aspetta a renderli vittime della sua giustizia nella vita eterna. Dimanda Geremia: "Quare via impiorum prosperatur?" (Ier 12,1).
E poi risponde: "Congregas eos quasi gregem ad victoriam".
Non v'è castigo maggiore, che quando Dio permette ad un peccatore che aggiunga peccati a peccati, secondo quel che dice Davide: "Appone iniquitatem super iniquitatem... deleantur de libro viventium" (Ps 66,28). Sul che dice il Bellarmino: "Nulla poena maior, quam cum peccatum est poena peccati". Meglio sarebbe stato per talun di quest'infelici, che il Signore l'avesse fatto morire dopo il primo peccato; perché, morendo appresso, avrà tanti inferni, quanti peccati ha commessi.
PUNTO III
Si narra nella vita del P. Luigi la Nusa che in Palermo v'erano due amici; andavano questi un giorno passeggiando, uno di costoro chiamato Cesare ch'era commediante, vedendo l'altro pensoso: Quanto va, gli disse, che tu sei andato a confessarti, e perciò ti sei inquietato?
Senti (poi gli soggiunse), sappi che un giorno mi disse il Padre la Nusa che Dio mi dava 12 anni di vita, e che se io non mi emendava tra questo tempo, avrei fatta una mala morte.
Io ho camminato per tante parti del mondo, ho avute infermità, specialmente una che mi ridusse all'ultimo, ma in questo mese in cui si compiscono i 12 anni mi sento meglio che in tutto il tempo della vita mia.
Indi l'invitò di venire a sentire il sabato una nuova commedia da lui composta. Or che avvenne? nel sabato, che fu a' 24 di novembre del 1668, mentre stava egli per uscire in iscena, gli venne una goccia, e morì di subito, spirando tra le braccia d'una donna anche commediante, e così finì la commedia.
Or veniamo a noi. Fratello mio, quando il demonio vi tenta a peccare di nuovo, se volete dannarvi, sta in arbitrio vostro il peccare, ma non dite allora, che volete salvarvi; mentre volete peccare, tenetevi per dannato, e figuratevi che allora Dio scriva la vostra condanna, e vi dica: "Quid ultra debui facere vineae meae, et non feci?" (Is 5,4). Ingrato, che più io dovea fare per te, e non ho fatto? Or via, giacché vuoi dannarti, sii dannato, è colpa tua.
Ma dirai: E la misericordia di Dio dov'è? Ahi misero, e non ti pare misericordia di Dio l'averti sopportato per tanti anni con tanti peccati? Tu dovresti startene sempre colla faccia a terra ringraziandolo e dicendo: "Misericordiae Domini, quia non sumus consumti" (Thren 3).
Tu facendo un solo peccato mortale, hai commesso un delitto più grande, che se ti avessi posto sotto i piedi il primo monarca della terra; tu n'hai commessi tanti, che se l'ingiurie ch'hai fatte a Dio, l'avessi fatte ad un tuo fratello carnale, neppure ti avrebbe sopportato;
Dio non solo ti ha aspettato, ma ti ha chiamato tante volte, e ti ha invitato al perdono. "Quid ultra debui facere?". Se Dio avesse avuto bisogno di te, o se tu gli avessi fatto qualche gran favore, poteva egli usarti maggior pietà? Posto ciò, se tu di nuovo tornerai ad offenderlo, farai che tutta la sua pietà si muti in furore e castigo.
Se quella pianta di fico trovata dal padrone senza frutto, dopo l'anno concesso a coltivarla, neppure avesse renduto alcun frutto, chi mai avrebbe sperato che il Signore l'avesse dato più tempo e perdonato il taglio?
Senti dunque ciò che ti avverte S. Agostino: "O arbor infructuosa, dilata est securis, noli esse secura, amputaberis". Il castigo (dice il santo) ti è stato differito, ma non già tolto, se più ti abuserai della divina misericordia, "amputaberis", finalmente ti taglierà.
Che vuoi aspettare, che proprio Dio ti mandi all'inferno? Ma se ti ci manda, già lo sai che non vi sarà poi più rimedio per te. Il Signore tace, ma non tace sempre; quando giunge il tempo della vendetta, non tace più. "Haec fecisti, et tacui. Existimasti inique, quod ero tui similis?
Arguam te, et statuam contra faciem tuam" (Ps 49,21).
Ti metterà avanti le misericordie che ti ha usate, e farà ch'elle stesse ti giudichino e ti condannino.
Sant'Alfonso Maria dè Liguori
Caterina63
00sabato 13 marzo 2010 20:35
A Bois - Seigneur - Isaac,
il "Preziosissimo Sangue del Miracolo"
(Belgio 1405)
Con questo nome si indica una località belga situata tra Nivelles e Braine l'Alleud, a circa una quindicina di km a sud di Waterloo. Vi si innalza un'abbazia, officiata, dalle sue origini sino alla Rivoluzione francese, dagli Agostiniani, poi, dal 1903, dai religiosi di Mondaye e oggi, dal 1921, dai Premonstratensi. In seguito a un voto fatto durante la prima crociata dal signore del luogo, chiamato Isaac, nel secolo XII, venne eretta nel bosco una cappella. Da qui il nome del paese.
Le visioni di Jean du Bois
Il fatto straordinario che ebbe luogo nella cappella fu preceduto, in un certo senso, da tre comunicazioni celesti piuttosto strane, ricevute dal signore del luogo di quel tempo, il cavaliere Jean de Huldenberghe, chiamato anche Jean du Bois.
Il martedì precedente la Pentecoste del 1405, verso mezzanotte, una voce che lo chiamava per nome, lo svegliò. In quell'istante, egli vide davanti a sé un uomo giovane di una trentina d'anni, con un mantello bleu, foderato di ermellino e circondato di luce. Dopo un momento di spavento, Jean du Bois chiese a questo personaggio ciò che desiderava. Questi aprì allora il suo mantello e apparve coperto di piaghe profonde dalle quali scorreva sangue.
"Guarda, disse, come sono stato maltrattato!" e chiese, nello stesso tempo, un medico capace di guarirlo e un avvocato che prendesse in mano la sua causa. Ma Jean du Bois si scusò: come trovare un medico tanto abile da portar rimedio a simili ferite? E come potrebbe lui che non era di alto rango vendicare il ferito dall'attentato?
Ma l'uomo sanguinante replicò: "Questo medico lo troverai se lo cercherai con cura"!.
Poi aggiunse: "Come non dovrei essere coperto di piaghe se ogni giorno me ne fanno delle nuove"?.
E, secondo un'antica cronaca, mostrò a Jean du Bois una larghissima piaga simile a quella che vien dipinta al costato destro di Nostro Signore Gesù Cristo.
"Osserva più da vicino questa ferita, disse ancora il personaggio della visione, è quella che mi causa il più crudele tormento"!.
E, prima di sparire, "Se tu non puoi procurarmi altro rimedio porta almeno la tua mano sulle mie piaghe per addolcirle. Fa' quello che puoi e te ne sarò grato in modo che tu possa fare di meglio e io possa concedere perdono al mondo".
Né l'apparizione, né le parole udite, sembra abbiano fatto supporre a Jean du Bois, che fosse Cristo in persona che si manifestava a lui e che gli rivelasse il suo Cuore, chiedendo in un certo senso, riparazione per le offese degli uomini, come farà più tardi a Paray-le-Monial, rivolgendosi a Santa Margherita Maria.
Così le visioni di Jean du Bois troveranno posto nella storia della devozione al Cuore di Gesù. Il giorno dopo, e ancora di notte, la visione si ripeté. Il misterioso personaggio rimproverò al cavaliere di non aver fatto nulla per sollevare le sue piaghe, dicendogli:
"Non troverò io nessuno che si interessi di me e che accetti di prendere in mano la mia causa?.
Dovrò corrucciarmi contro un mondo che rimane sordo ai miei lamenti?".
Al mattino, molto perplesso, Jean du Bois raccontò le visioni ai suoi familiari e amici chiedendo consiglio. Ma nessuno seppe darglielo.
Il cavaliere allora pregò suo fratello di tenergli compagnia durante la notte seguente.
La visione apparve la terza volta. E Jean du Bois gli chiese: "Se io facessi venire questo medico dove potrei indirizzarlo? Non so chi siete né dove abitate".
L'uomo ferito rispose: "Prendi la chiave della cappella e recati là. Ivi mi troverai e saprai chi sono".
Al cavaliere sembrò in quel momento di stare eseguendo l'ordine: avanzando nel santuario, vide al di sopra dell'altare Cristo con il corpo ricoperto di piaghe, mentre dal costato aperto, usciva sangue a fiotti.
Jean du Bois capì subito che il Salvatore si era rivolto a lui.
Perciò con l'anima ardente si prostrò condividendo le angosce e i dolori di Gesù crocifisso.
Uscito dall'estasi, dichiarò a suo fratello: "Ci ha minacciati di adirarsi ancora di più contro l'umanità se non gli si presta maggior attenzione. Credo che egli sia Nostro Signore Gesù Cristo. L' ho visto veramente morire e dal suo costato è uscito una sorgente di sangue. Lo troveremo questa mattina di nuovo morto sull'altare".
Ciò dicendo, alludeva alla messa che stava per essere celebrata e dove si sarebbe annunziata e sacramentalmente prodotta di nuovo la morte del Redentore per la salvezza del mondo.
Di per sé, tuttavia, nessuna messa doveva essere celebrata il mattino seguente nella cappella di Bois-Seigneur, perché il parroco di Haut-Ittre doveva celebrare un anniversario nella sua chiesa parrocchiale.
Ma quella notte, durante il sonno, una voce gli ordinò:
"Sire Pierre, alzati e va subito a dire la messa della santa Croce nella cappella di Bois-Seigneur-Isaac".
Benché sorpreso, il sacerdote obbedì. Si recò dunque al santuarietto e chiamò i fedeli col suono della campana.
Tra i presenti c'era Jean du Bois. Pierre Ost inizia la messa della santa Croce con straordinario fervore.
Ma all'offertorio, mentre spiega il corporale, si accorge che un pezzetto di ostia consacrata, circa l'ottava parte
di un'ostia grande, è rimasta lì dopo la messa del martedì precedente. Cerca di toglierla per consumarla alla comunione;
ma la particella sembra incollata sul corporale e immediatamente emana delle gocce di sangue.
Il prete sviene e Jean du Bois si avvicina per dargli aiuto: "Reverendo, non abbiate paura, gli dice,
questa meraviglia viene da Dio!".
Pierre Ost ripiega allora il corporale. Ne prende un altro per la messa, e prosegue la celebrazione.
Terminato il santo sacrificio, apre il primo corporale.
L'ostia è sempre là sanguinante. Rimane bianchissima e, in un certo senso, sollevata dal sangue.
Tutti i presenti possono contemplare questo fatto straordinario e ben presto, conosciuto l'accaduto,
il popolo accorre e constata.
Per quattro giorni, sino al martedì di Pentecoste, il sangue continua a colare, raggiungendo
lo spessore di un dito su tre di larghezza. Poi, avendo macchiato quasi completamente
il corporale, si coagulò a poco a poco e divenne secco dopo il giovedì del Corpus Domini.
L'inchiesta canonica
Pierre d'Ailly, vescovo di Cambrai (dal quale dipendeva Bois-Seigneur), informato dell'accaduto, volle esaminare personalmente il corporale macchiato di sangue. Lo conservò due anni, facendolo passare attraverso il vino, il latte, la lisciva e constatava che la macchia restava intatta. Per le istanze di Jean du Bois, acconsentì di ridare il corporale alla cappella di Bois-Seigneur e la fece consacrare dal suo ausiliare, il 3 maggio 1411, in onore del preziosissimo Sangue, della SS. Vergine e del Precursore.
In questa epoca, il vescovo di Cambrai fu nominato cardinale e Legato papale per tutta la Germania. Jean du Bois lo supplicò allora di confermare in modo ufficiale la realtà del prodigio. Già convinto nel suo intimo, il prelato volle tuttavia procedere in forma canonica. Perciò ordinò un'inchiesta nella quale furono incaricati il 23 settembre 1413 tre ecclesiastici di Nivelles. I commissari fecero comparire i testimoni i quali affermarono che avevano visto spandersi il sangue miracoloso. Raccontarono anche i miracoli operati dal medesimo preziosissimo Sangue. Dopo questo esame, Pierre d'Ailly, in qualità di Legato, pubblicò la bolla del 10 ottobre 1413 confermando "in virtù dell'autorità apostolica", l'autenticità del prodigio e dichiarando reliquia degna di essere onorata il corporale macchiato di sangue.