Il genio che brillò tutta una vita

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
lella84
00sabato 11 ottobre 2008 23:30
Al Vittoriano il meglio di Picasso





ROMA - C'è un "Arlecchino" classico, in cui la rilassata ma sempre febbricitante figurazione appare incline ad una dialogo con la tradizione naturalista e quindi facilmente leggibile. E c'è lo straordinario "Arlecchino suonatore" in versione cubista, dove la figura viene scomposta in un'orgia di pezzi spigolosi, braccia informi, teste appuntite, contorni nervosi tagliati con l'accetta. E ancora, l'"Arlecchino" dall'anima astratta dove le superfici colorate sembrano svolazzare prive di ogni legame con lo sfondo, e il "buffone" delle commedie teatrali si riconosce solo perché il costume a rombi è esso stesso un motivo astratto. Fino alla "Testa di Arlecchino" dal temperamento surrealista, dove un'atmosfera di spettrale ambiguità domina la figura in balia di forme organiche che sembrano scaturite da un sogno. Sono le quattro opere di Pablo Picasso - rispettivamente dal Museo Picasso di Barcellona, dalla National Gallery di Washington, dal Metropolitan di New York e da collezione privata - a coprire un arco di tempo dal 1917 al '27, che diventano il cuore pulsante della mostra "Picasso 1917-1937. L'Arlecchino dell'arte" che si apre al Complesso del Vittoriano dall'11 ottobre all'8 febbraio.

A spiegare il perché è il curatore Yve-Alain Bois: "Arlecchino può essere qualsiasi cosa desideri e Picasso, che era all'apice della sua produttività e poteva adottare contemporaneamente gli stilemi del cubismo, del neoclassicismo, del surrealismo e dell'espressionismo, aveva diverse affinità con questa maschera leggendaria". Venti anni, dunque, incorniciati dalle due guerre mondiali, in cui, quello che viene considerato il massimo artista del ventesimo secolo (1881-1973), dal vertiginoso talento mai intaccato - esploso come vuole la leggenda già a 14 anni quando veniva ammesso alla prestigiosa Accademia di belle arti di Barcellona eseguendo in un giorno i due elaborati richiesti, per i quali era concesso un mese - si concede il lusso di esibirsi nei linguaggi che preferiva, dimostrando che l'effetto della contraddizione per lui non aveva valore. Lo dimostrano le 180 opere tra oli, disegni e sculture che sfilano nel percorso che astutamente evita l'approccio enciclopedico nel celebrare Picasso, una sfida persa in partenza per la proteiforme e prolifica attività dell'artista.

Per Bois, insomma, l'evoluzione cronologica non esiste più nell'opera di Picasso. Non certo come è stato nella prima fase della sua carriera, avviata quando era diciannovenne a Barcellona a frequentare i "Quattro gatti" (Els 4 Gats), locale aperto per i figli della fiorente borghesia dove passavano tutti quei maestri che avevano già assaporato l'ebbrezza della capitale francese, rimanendo contagiati dalle più avanzate correnti europee, dal simbolismo al postimpressionismo, dall'Art nouveau francese ai Preraffaelliti inglesi. Segnata, poi, a Parigi dal "periodo blu", iniziato storicamente con i ritratti dell'amico Casagemas, suicidatosi nel febbraio del 1901, sparandosi in un caffè parigino, perché il suo amore per la modella Germaine non era corrisposto, e continua con quadri che trattano il tema della morte, della solitudine, della mancanza d'amore, della povertà metaforica. Per passare al "periodo rosa", infestato di malinconia carezzevole e ricerca di una bellezza classica, influenzata dalle frequenti visite al Louvre, segnato dall'interesse per la resa pittorica delle forme tridimensionali. Ed esplode nel cubismo (1907), la rottura netta, la rivoluzione, l'apocalisse.

Fino al 1917, che, come avvisa Bois, segna una definitiva inversione di tendenza: "Picasso smette di sostituire una data maniera con un'altra e non scarta più nulla, inventando stili nuovi senza mai eliminare quelli precedenti. Negli anni, anzi, si costruisce un incredibile arsenale di forme e approcci al quale attinge liberamente ogni volta che ne ha voglia". Ecco quindi svelato il mistero dei quattro Arlecchini, testimonianza di un nuovo corso, che prende il via niente meno che dal suo soggiorno romano, quando arrivava il 17 febbraio del 1917 con Jean Cocteau per lavorare al primo balletto cubista della storia, Parade. Entrambi erano stati chiamati da Sergej de Diaghilev, l'impresario della compagnia, di cui facevano parte anche il coreografo-ballerino russo Léonice Massine, che guarda caso è il soggetto ritratto nel suo "Arlecchino" classico di Barcellona, e la ballerina Olga Kokhlova, l'unica donna che avrebbe mai sposato, nel luglio 1918. Picasso ebbe l'incarico di progettare le scenografie e i costumi del balletto, Jean Cocteau fu scelto per redigerne il libretto.

Soggiornarono entrambi presso l'Hotel de Russie, ma il 23 febbraio Picasso affittò, dal Marchese Giuseppe Patrizi, uno studio a Via Margutta 53B, dove dipingerà un suo grande capolavoro, l'"Italienne", conservata oggi a Zurigo nella collezione E. G. Bührle, e che spicca in mostra, allegra composizione cubista di una fanciulla sullo sfondo del cupolone di San Pietro. Il percorso, dunque, diventa un concerto di linguaggi. Oltre le deformazioni cubiste, dalle controverse logiche composizioni, si scoprono i corpi carnosi dalla pesante robustezza e dalla schietta monumentalità, quasi un omaggio all'antichità greco-romana, che sa farcire, però, di una divertita aura grottesca. E compaiono i ritratti surrealisti, straniati nelle loro forme ambigue, in scene bizzarre nelle quali le figure sono trasfigurate in creature molli, quasi americhe.

Ci sono le sue donne, prima Olga poi lasciata per la giovanissima Marie-Therese, fino alla fotografa Dora Maar, ci sono i suoi temi ricorrenti, tra bagnanti, nature morte, ritratti. Per poi lasciare la scena a tutte quelle opere che rientrano nell'ambito linguistico di Guernica, capolavoro assoluto, spettrale e inquietante, senza l'untuosità della retorica, nella sua monumentale tela di oltre sette metri, realizzato in memoria del meschino bombardamento intensivo che il terzo Reich scatenò sulla cittadina basca di Guernica nel 1937. Lo prefigurano, in mostra, le scene violente di sanguinose corride, nei dipinti del Philadelphia Museum e dell'University of Michigan Museum of Art, e le donne urlanti in lacrime nelle struggenti tele della Fondazione Beyeler di Basilea e del Museo Reina Sofia di Madrid. "Guernica", eseguito su commissione del governo spagnolo per l'Expo di Parigi del '37, partì per un tour espositivo che toccò Londra, la Norvegia e sbarcò a New York, dove fu applaudita nella grande rassegna dedicata nel '39 a Picasso dal Moma. E qui rimase in deposito fino al 1981, per volontà dell'artista stesso che desiderava che l'opera tornasse in Spagna solo nel momento in cui questo paese avesse ritrovato la libertà democratica.

Notizie utili - "Picasso 1917-1937. L'Arlecchino dell'arte" dall'11 ottobre all'8 febbraio al Complesso del Vittoriano, Via San Pietro in Carcere (Fori Imperiali), Roma.
Orari: lunedì-giovedì 9.30-19.30, venerdì-sabato 9.30-23.30, domenica 9.30-20.30.
Ingresso: intero €10, ridotto €7,50.
Informazioni: tel. 066780664.
Catalogo: Skira.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 15:01.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com