Ewin (PG INESISTENTE)

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Ewindred
00giovedì 20 marzo 2008 15:10
{ Stoicismo}
vorrei chiederVi di ammettere il mio pg a far parte del clan mediterranio. Il mio pg è nato e cresciuto nella Sicilia feudale e presenta le tipiche carattristiche mediterranee.
il bg è stato approvato: isoladiavalon.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd...

grazie per l'attenzione. [SM=g8119]
==leia==
00mercoledì 26 marzo 2008 20:16
RICHIESTA ACCOLTA
Ewindred
00domenica 30 novembre 2008 20:16
Richiesta Skill
//Volevo richiedere per il mio personaggio l'approvazione della skill STOICISMO se è possibile II livello abendo il mio pg raggiunto e superato il limite di Karma per la seconda ricchiesta, ma non sapendo se ciò sia possibile mi rimetto a voi.

ROLE DI GIUSTIFICAZIONE (ssendo la role molto lunga evidenzio solo le parti fondamentali per la skill onde evitarvi di elggere parti inutili):

Riassunto: Oudine ed Ewin si incontrano alla torre delle guide per confrontarsi e confortarsi vicendevolmente, dopo tanto tepo che non mantenevano i contatti. Oudine racconta dei propri Fantasmi immaginari e Ewin racconta del Fantasma così reale da necrotizzarle un braccio (//Kubren). Oudine ottiene i consigli e il sostengo di cui necessitava e Ewin riceve conforto nel parlare dei suoi problemi e nelle parole dell'altra. Inoltre riceve una missiva di Gaudiel che la informa che soggiornerà dalle sacerdotesse. Alla fine quindi Oudine torna alla Dimora dei Veleni e Ewin sala nella carrozza che la porterà nel tempio.

Commento: Che bello, era tantissimo che non giocavo con Ewin! Giocata interminabile fatta per lo più in grotte, ma piena di emozioni fortissime. Anche se devo ammettere un po da soap....


OUDINE [vicoli] Freddo, buio, rumori, suoni di passi che rimbombando sui muri che cingono i vicoli sembrano avvicinarsi da ogni angolo. Il fiato si fa corto ad ogni passo, e ogni passo si fa più veloce ad ogni martellata che il cuore fa rimbalzare in quel petto di avorio. Perchè, perchè è uscita dalla sua Dimora? Perchè perchè si è spinta sin lì, un posto in cui non è nemmeno sicura di voler andare. Ma perchè? E no, non è perchè la sua amica aveva bisogno di lei, come continua a ripetere il suo cervello. E no, neanche perchè è lei ad aver bisogno di aiuto, Perchè quell'aiuto non lo vuole, ma nello stesso tempo lo vuole. Perchè, perchè le cose sono così complicate? Perchè, continua così sulla via della patetica autocommiserazione. Non è difficile. Prende un veleno, sogna, stop, tutto finito. Perchè si deve fare tutti questi problemi? Eppure una soluzione non arriva alle sue orecchie. E i fantasmi non smettono di seguirla solo perchè è uscita Già, è uscita. La prima volta in ormai molti mesi. E per quale motivo, poi? Non lo sa neppure lei. E la sera fuori dai caldi tendaggi rossi della Casa dei Veleni è scura e crudele. E la strada per arrivare alla meta sembra non finire mai. ma allora perchè il suo corpo si ribella a questo disagio della mente. Perchè respira così a polmoni aperti, quel refolo dell'aria del bosco e del lago che pregna tutto ciò che la circonda? Perchè la sua pelle gioisce del tocco del vento? Perchè? Ma la porta della torre delle guide si erge quasi d'improvviso dinnanzi agli occhi di cristallo che di lontano la guardano spauriti. Grande è la porta, ma solo una piccola parte è aperta, come una bocca nera, pronta a divorarla appena lei vi metterà piede. La Torre Circolare le si apre dinnanzi e lei trema. ''Non volevi mica entrare di nuovo tra delle mura?'' ecco la Voce. Ecco i Fantasmi che come una scorta le si sono affiancati in questo breve, ma difficile viaggio e i passi incerti, così la conducono a varcare quella porta. Si sforzano quelle esili gambe tremanti di non esitare sulla soglia, e di varcarla, decise a non fermarsi. Tra le bianche dita, un rosso involto spicca sulla figura nera e bianca avvolta da un nero, vestito, coperta da un nero mantello. Le scale ora si aprono come ultima frontiera dinnanzi al suo cammino.

EWIN [terzo livello, stanza XI] lentamente il petto si alza quando il contadino stanco torna dalle campagne e si gode il meritato sonno dopo una giornata sotto il sole, i mmobili le membra della donna che, dopo aver filato tutto il giorno, si stende sul caldo letto, finalmente anche i muscoli della dama, spossata e debilitata dalle notti agitate e insonni, sono immobili e il respiro del sonno è calmo e regolare, sulla scrivania si notano i residui di ciò che ora le permette di dormire, di ciò che, portatole dal suo tutore ora può darle un po' di serenità, almeno nel sonno, almeno quando i pensieri non sono governati dal raziocinio della mente, semi di Giusquiamo ecco il segreto di quel sonno calmo, tanto desiderato, le coperte si alzano ed abbassano lentamente seguendo il respiro della dama in esse avvolta, il buio della stanza è rotto solo da un flebile raggio di luce di luna che entra dalla fessura tra le due tende chiuse, non un rumore si ode nella stanza dell'allieva e del resto chi potrebbe fare rumore se solo Semola fa compagnia alla dama accoccolato ai piedi del letto, attento a non darle fastidio occupandone il letto, abitudine che in vero aveva preso solo da quando la sua padrona stava male poiché prima si divertiva molto a mettersi nelle posizioni più strane per intralciare il distendersi della mediterranea, ma si sà che gli animali comprendono i sentimenti dei padroni a cui sono legati e sanno adattarsi.

OUDINE [ingresso] La penombra avvolge anche quel luogo, penombra così familiare e così estranea, mai è entrata in quella torre, la dama che ora piano si azzarda a salire gli scalini. Un passo dopo, l'altro temendo forse di poter svegliare qualcuno, o forse semplicemente temendo di disturbare quel accogliente silenzio, estraneo ai mille rumori della strada e simile a quello della propria Dimora. Quella stessa notte lei non ha dormito e se sapesse di quell'erba che brucia lenta, lasciando dietro di se volute e spirali di fumo, anch'ella la agognerebbe. Si è esperta di erbe, ma mai le è capitato di adoperarle da sole e soprattutto non per se stessa. Inoltre non è a conoscenza di ogni erba, ma anzi ha ancora molto da imparare in fondo è ancora un Erborista. Quelle scale paio non finire mai, forse perchè anche lei rallenta il suo cammino, presa forse da una qualche paura, Dal timore di non poter più tornare indietro. Un senso di ineluttabilità che non le piace, ma la fa sentire a disagio, una serpe che veglia con lei. Diversa dalla serpe che con lei dorme ogni notte. Ma ci sarebbe il veleno per ucciderla quella serpe! Ma allora perchè lei ne ha così timore? Ha forse paura di scoprire che è più Assassina di quel che riesce a ricordare? Ma alla fine la Sala Comune si apre dinnanzi a lei, calda, accogliente, ben arredata, ma in uno stesso momento, così distante, così vuota. Eppure la stanza non è vuota, anzi un uomo si è alzato per venirle in contro appena lei ha fatto capolino attraverso la cornice dell'uscio. Chi è? Ah, adesso ricorda qualcosa menzionato nella missiva di lady Ewin, non ne ricorda il nome, ma che sia il custode della Torre? Non ricorda molto bene. La sua mente si era soffermata alcune righe più avanti. Anche il sorriso di quella dama, si è estinto da quelle labbra. Come il suo. Che la felicità sia stata risucchiata via agli umani di tutta Avalon? di tutto il mondo? Ma non solo umani, anche elfi, mezz'elfi...Pare che il sorriso si sia stancato di albergare nei cuori di quella cittadina, o è forse solo la sua cupa presenza a spegnere ogni fiamma di gaiezza? ''Venom'' dice in dimando del messere che si è fatto avanti e che nel mentre che lei si perdeva in inutili divagazioni, si era presentato come Maxim, custode della Torre e l'aveva salutata molto cortesemente. ''Cercavo lady Ewin. Mi ha detto di rivolgermi a voi, perchè potessi avere un incontro con lei.'' tace poi la dama, attendendo un movimento o una risposta dell'altro. Tace, quasi spaventata dallo stesso suono delle sue parole, uscite di getto, senza che lei comandasse.

EWIN [terzo livello, stanza XI] coincidenza, una strana coincidenza porta la dama, addormentata nel suo letto fin dal primo pomeriggio, a svegliarsi proprio mente l'amica sta varcando la soglia della sala comune della sua amata torre, i verdi occhi si aprono lentamente, senza però poter cogliere alcun dettaglio della stanza che conosce sì bene, per il buio che l'avvolge, il pallido raggio di luna è insufficiente a delineare le forme dei mobili e degli oggetti della stanza, le palpebre si aprono e chiudono un paio di volte prima che la dama riesca a ricordarsi il momento in cui il suo tutore etra entrato nella sua stanza e avea bruciato quell'erba, quell'essenza che le avea permesso di dormire tranquilla finalmente, ma ora non riesce a ricordarne il nome, ricorda solo la sensazione di tranquillità che quelle erbe le avevano subito fatto provare e la stanchezza che lentamente prendeva il sopravvento, si sente meglio ora la mediterranea, sente un po' di forza tornarle nel corpo, nel corpo, ma solo nel corpo, la mente invece ancora non riesce a dimenticare il terrore e la paura che l'hanno profondamente cambiata, che le hanno cambiato l'animo, pensieri tristi la invadono ma non vuole rimanere inerme sul letto ed abbandonarsi alla tristezza, deve reagire, e il primo passo è sollevarsi da quel letto, lasciare quelle calde coperte, abbandonare il contatto dei suoi piedini con il morbido pelo del suo gattino, e così fa la ragazza, raccogliendo quelle forze appena ritrovate per scendere dal letto e tornare a reggersi sulle sue gambe. nel frattempo Maxim avrà certamente risposto con gentilezza e calma alla bicroma dama e starà ora salendo, con il suo caratteristico passo goffo, le scale che lo separano dalla stanza dell'allieva.


OUDINE [Sala Comune] Piccola piccola appare quella dama, così nera e così bianca in quella grande, o almeno a lei pare tale, sala. Piccola piccola, forse per quel senso di disagio, per quella timidezza che non l'abbandona, neanche quando ormai la vergogna non è più nulla in confronto degli altri sentimenti. Quella stanza le pare così estranea, così ostile. Non vi è nulla in essa che le ricordi la sua di Sala Comune, forse un poco più spoglia, forse un poco più buia, di sicuro molto più silenziosa. Ma forse è solo dentro la sua testa che si muovono quei suoni fastidiosi. Quegli stralci di pensieri, gettati così in pasto al caos. Forse solo lei ode quelle voci, quei bisbigli quelle urla di confusione che le vorticano nella mente altrettanto confusa. ''calmati, calmati, non devi presentarti così agitata, che figura farai?'' Ecco quella voce maledetta. Quel suono che mai vorrebbe aver udito, ma che ora le rimbalza nei sogni, e nella veglia come il suo spirito tormenta i di lei occhi. Ma quella voce le lascia spazio per tutt'altra cosa che la calma. Anzi altra agitazione si somma alla prima. Perchè Lui l'ha seguita? Perchè? Non poteva restare nella Dimora dei Veleni? Non la tormenta gia abbastanza? Ma se lo merita. Si, non è questa autocommiserazione o puro vittimismo, ma è così. Lei se lo merita, quasi con una sorta di masochismo. Ma è così. Lei l'ha ucciso, ed è lei che deve pagare. Perchè lui dovrebbe lasciarla in pace? Lei non se lo merita! Muove un paio di passi incerti la donna, cercando di trovare un posto in cui il suo disagio non appaia così evidente come restando in piedi nel mezzo della sala. Si siede la dama su uno di quei divani che arredano la sala. Ma è troppo agitata per sedersi normalmente, si siede sul bordo, come se non dovesse stare lì, come se il suo posto non fosse seduta su quei cuscini che compongono il rosso divano. Perchè è venuta lì? Ha ancora il tempo di darsi alla fuga. di alzarsi e uscire da quella torre, in cui non vuole stare, ma non ce la fa. Ha bisogno di aiuto e sebbene il suo cuore non abbia il coraggio di ammetterlo, la sua mente lo sa. Il nero l'avvolge e la bianca ragione fa fatica a riemergere da quel nero mare di disperazione. Ma lei è stana, così stanca di essere disperata. Come vorrebbe che tutto questo non fosse mai avvenuto. Ma in realtà è solo colpa sua se questo è avvenuto. Non avrebbe dovuto uccidere quell'uomo. Ma se non l'avesse fatto, ora non sarebbe lì. Ora non conoscerebbe Ewin, ora non sarebbe un Erborista, sarebbe solo una donna sformata, gravida di figli che non ha mai voluto, figli di un uomo che non ha mai amato che l'ha comprata che l'ha presa con la forza. Vivrebbe in una catapecchia una vita che non vuole. E forse s toglierebbe da sola quella vita tanto odiata. Quindi un omicidio lo commetterebbe comunque o il suo o quello di Lui.

EWIN [terzo livello--->stanza XI] pochi passi muove la dama nella sua stanza, pochi passi per riprendere possesso del proprio corpo, di quelle gambe che sembrano dover cedere da un momento all'altro, di quelle braccia così diverse l'una dall'altra di quel petto che si alza velocemente per permettere all'aria fresca della sera di riempirle i polmoni, di quella testa che pulsa per il brusco cambio di posizione della mediterranea, per riprendere possesso di quel corpo che per la prima volta da giorni sta meglio, e riesce a sostenerla senza minacciare svenimenti, ''il sonno mi ha fatto bene'' pensa ''almeno al corpo”, il pensiero però non è positivo ma lascia un sapore amaro, l'amarezza di chi sà di non essere più la stessa, di chi sa di aver perso parte dio ciò che è, di ciò che, ormai, era, ma soprattutto l'amarezza di chi ha paura di non poter più tornare ad essere la stessa, di chi teme, non solo di non poter mai dimenticare gli avvenimenti terribili che l'hanno sconvolta, ma di non poter più cancellare dal suo cuore le sensazioni e le emozioni che ha provato e che ora, teme, la segneranno per sempre, si odia la mediterranea, odia la nuova se, la ragazza spaventata e triste che non riesce a reagire, rimpiange la forza che ha avuto anni prima, quando ha lasciato la sua casa, o semplicemente la determinazione che l'ha portata ad entrare in quella congrega, odia i suoi tremori, la sua pelle, un tempo abbronzata, ora pallida, le sue labbra, un tempo sorridenti, ora inespressive, così come i suoi occhiaie circondati ancora dalle occhiaie che il sonno non ha potuto cancellare. una mano si tende per afferrare il drappo che copre la finestra, e scostarlo, lasciando così entrare dalla finestra la luce della luna, quasi piena, che l'avvolge e avvolge la stanza permettendo all'allieva di riconoscere i mobili e gli oggetti che la circondano, mentre gli occhi si abituano alla debole luce le orecchie odono chiari i colpi che il custode della torre ora batte sulla porta, qualche secondo impiega la ragazza per smuoversi e raggiungere la porta, che lentamente ora apre chiedendosi chi mai potesse essere a cercarla ora con la flebile speranza che fosse Maxim ad annunciarle la risposta alla missiva che poco prima semola aveva consegnato all'erborista nella casa dei veleni. la porta viene aperta ora del tutto e Maxim si palesa alla conoscitrice che ora con voce gentile ma tremolante, sia per il sonno da brave interrotto, sia per alla missiva che poco prima semola aveva consegnato all'erborista nella casa dei veleni. la porta viene aperta ora del tutto e Maxim si palesa alla conoscitrice che ora con voce gentile ma tremolante, sia per il sonno da brave interrotto, sia per>>

OUDINE [Sala Comune] Il piede destro si muove su e giu, giu e su, veloce, come preso da frenesia. La gama destra è posta sopra la sinistra in un incrocio. Il piede saltella nell'aria, come un salmone che cerchi di risalire la corrente. Anche il cuore scalpita dentro il petto. Ogni battito sembra un suono immenso che rimbomba nella sala, a ritmo di quella musica che solo il piede pare udire. Il mantello ora giace scomposto, appallottolato, ripiegato su se stesso in una striscia flessuosa dietro la schiena della donzella, completamente accasciato sul divano, non più elegantemente drappeggiato su quelle perlacee spalle, lasciate ora nude. Le mani pallide si muovono avanti e indietro lisciando invisibili pieghe della veste e ogni tanto stringendo la rossa stoffa di quel sacchetto che è adagiato elegantemente, quasi fosse una corona, sulle gambe della dama. Gambe avvolte da una lunga gonna nera che poi si va stringendo per avvolgere strettamente quel piccolo esile busto. Il vestito si termina la sua ascesa poco sopra al seno. Unico altro adornamento a quel viso sono i capelli neri che sciolti ricadono ai lati del viso, fino a insinuarsi sulla candida pelle. Gli occhi azzurro del vetro, sono celati. Chiusi. Per non far veder la lotta che dietro quelle pallide membrane, che sono le palpebre, si sta alacremente combattendo. Sotto di esse però sono ben visibili le violacee ombre di un sonno quasi mai abbracciato. Di un letto freddo durante la notte. Ma i sogni, gli incubi, mai le permettono di prendere sonno. E quando il suo corpo si ribella alla paura di addormentarsi allora sono essi che la tengono sveglia. Non v'è ragione alcuna che le faccia fare sonni tranquilli, men che mai. ''Vattene, non vedi che non arriva non ti vuole, anche lei lo sa che sei un Assassina, nemmeno lei ti vuole vicina'' un alito puzzolente di morte di birra rancida le sfiora la pelle, dietro il collo. lasciando che un gelido brivido si arrampichi su per la schiena esile. Si anche lei vorrebbe scappare, e Lui ha indubbiamente ragione. Allora perchè le sue gambe non si stendono a lasciarla fuggire? Perchè non se ne va? Perchè il suo stesso corpo non le ubbidisce più? Sarà davvero giusto rivedere un passato che non farà altro che affermare di nuovo quello che lei gia sa? Assassina, dopo di quello non vi sarà altra parola per descriverla, se ora ancora qualche dubbio, potrebbe sussistere. Allora sarà tutto irrevocabile. Come adesso non può fuggire perchè quella decisione non può essere rimangiata, non può essere rigettata nel dimenticatoio. Non può, semplicemente. Ma perchè lady Ewin ci impiega così tanto? Le sembra passata un infinità di tempo quando ha mandato su il custode. Ma non si vergogna a pensare quelle cose? E' davvero lei così egoista? Anche Ewin ha perso il sorriso, vi sarà di certo un qualche motivo. E allora forse è per questo come può lei non avervi prestato attenzione. Non aver considerato i problemi dell'altra. Ma non è forse lei uscita per incontrarla? Uscita, una cosa che non fa da mesi. Ma ora è li cosa sono tutte quelle congetture. Basta!

EWIN [terzo livello--->primo livello] ecco, la notizia che sperava di ricevere, se fosse stata quella di un tempo ora, avrebbe sorriso, un ampio e radioso sorriso le avrebbe illuminato il viso, ma non è più quella di un tempo ora, e tutto ciò che la ragazza pensa è solo che probabilmente non è lei ad attenderla di sotto, che probabilmente varcando la soglia della sala comune non troverà l'esile bianca figura, gli occhi azzurri, i capelli neri e liscissimi dell'amica, ma un viso estraneo, uno sguardo vuoto, pessimismo, ecco tutto ciò che le rimane, vorrebbe chiudere la porta, ignorare il custode e tornare nella sua stanza, da Semmy, che nel frattempo si è svegliato e si sta leccando calmo sul letto, vorrebbe non scendere quegli scalini, ma tutto ciò che le rimane ora è la sua congrega, la sua casa, i suoi confratelli, il suo tutor che tanto l'ha aiutata recentemente, e non può tradirli, chiunque sia nella sala comune ha bisogno di le, ha bisogno di aiuto e lei, ora è soprattutto una conoscitrice, così ascolta le parole del custode e con la gentilezza che non l'ha lasciata nonostante gli avvenimenti l'abbiano così cambiata lo ringrazia e lo congeda per poi chiudersi la porta dietro le spalle e iniziare a percorrere il corridoio del terzo livello, un tempo prima di uscire sarebbe tornata nella sua stanza, avrebbe pettinato e raccolto i capelli, cambiato vestito, infilato la spilla di congrega, ma ore no, ora, mentre lentamente scende le scale che la condurranno ai piani inferiori, non bada ai capelli spettinati e sciolti che le ricadon in scomposti boccoli sulle spalle, non bada al vestito da camera, sgualcito e per nulla ricamato che l'avvolge, pensa solo alle fitte amplificate dai sobbalzi che il peso del corpo che si sposta da gamba a gamba nel discendere le scale, che le invadono la mente e che non la lasciano in pace, dopo quella che le è sembrata un eternità giunge finalmente al primo livello, e si pone davanti alla porta sempre aperta della sala comune, il cuore ha un balzo quando scorge la figura seduta scomposta su uno dei divenni della sua sala, è lei, e tutto d'un tratto tutto diventa una domanda a cui non esiste risposta nella sua mente tormentata dal dolore, cosa le dirà? come giustificherà il suo cambiamento? come potrà aiutarla se non riesce ad aiutare se stessa? l'unica cosa che riesce a fare ora è parlare, con quella sua voce tremolante, e far uscire poche parole in direzione dell'amica ''sid et conoscentia, amica mia''.


OUDINE [Sala Comune] La sua posizione è composta, quasi rigida, su quel divano. Non è quello il suo posto, dovrebbe fuggire. Perchè indugia? La schiena è eretta, tesa. Il piede non smette di rimbalzare nell'aria a ritmo di una musica che solo lui ode. Una musica che ha per ritmo il battere potente del cuore della giovane. Un battere incessante, ma febbrile. Indugia, la dama tra i suoi pensieri, tra le sue paure, tra i suoi fantasmi e le sue preoccupazioni. Indugia, forse sin troppo. Così che le gambe non hanno più il potere di fuggire, così che la voce una voce tremante, ma conosciuta si fa strada nel suo petto, e la incatena a quella stanza. Alla fine è quindi giunta. Si volta l'Erborista a guardarla. Si volta e, non l'avesse mai fatto, in lei non vede altro che un ombra di quello che è stata la dama dei suoi ricordi. Ricordi, è vero, non molto vividi, ma pur sempre differenti da quella donna, in vesti da camera. Con i riccioli scomposti, con gli opachi e le nere ombre delle occhiaie a circondarli di uno scuro velo. Chi è? Chi è quel residuo di donna che la guarda oltre la soglia? Non è Ewin di certo. Lei non si sarebbe presentata in quelle condizioni. Lei non avrebbe il viso così triste, così alieno al sorriso. Allora è vero. La gioia è stata rapita dagli occhi di ogni forma vivente in questa landa. Allora è vero. Allora non sarà più possibile che lei ritrovi la sua di gioia. Come è possibile? Non ci crede. Non vuole crederci. Che suo destino fosse di arrivare in quella torre per vedere coi propri occhi la sua impossibilità? Ma tutto questo non si realizza in pensieri, dietro le cortine di quegli occhi chiari, freddi ma muti. Si realizzano solo in una sensazione di paura, di freddo, di abbandono, di impotenza. Si leva allora la dama. E le sue labbra fanno quello che la mente non è in grado di fare ''Venom, milady'' Ecco, le ha risposto, ma che cosa le ha detto? Parole vuote, che non possono aiutare nessuna delle due. Parole prive di significato. Parole al vento. Allora se le parole non possono, sono i gesti a farne le veci. E se la mente è inerte, paralizzata da paure, da terrori, da fragilità. Allora è il corpo a sopperirvi allora è il corpo che si muove. Passi. Passi, sono l'unica cosa che il corpo riesce a fare. Passi verso quella dama che adesso è solo l'ombra di se stessa. E poi ai passi, si aggiunge la mano che si tende. Si tende verso la mano dell'altra.Aspettando che il sacchetto rosso di velluto passi di consegna. Poi anche le parole riescono a scavare un varco ''Per voi” impacciate, collose parole, che non si staccano per intero dalla gola da cui escono, ma vi scaturiscono a pezzi.Come vetri frantumati. E quando la donna aprirà quel sacchetto. Cosa vi troverà al suo interno? Forse una soluzione ai suoi problemi? No, quella, con suo enorme rammarico, non è capace di fornirgliela. Apparirà solo un piccolo ed innocente oggetto. Una collana. Rossa. Di rame. Fatta creare per lei dai Maestri dei Mestieri.
[http://congregadeimaestrideimestieri.forumfree.net/?t=32485099] Un piccolo dono per essersi presentata all'improvviso dopo molti mesi che non si sentivano neanche per missiva. Ma ora assume una diversa accezione. Quella di un dono fatto da una amica all'altra nella speranza che tra di loro lamento un sorriso torni a spuntare un poco, almeno sul viso di una delle due. Lasciando che i propri spettri che non vogliono tornare nella tomba si rintanino per lo meno in un angolo dove loro non li possano vedere.

EWIN [Sala comune - -> divanetti] Rimane immobile, la mediterranea, mentre osserva la sua amica giungere verso di lei, solo i verdi occhi si spostano, seguendo l’esile corpo avvolto nella nera veste che fa ancor più risaltare il pallore della sua pelle, muovendosi con tanta compostezza verso di lei. Ogni passo della Venefica verso di lei fa accelerare i battiti del suo cuore e aumentare i dubbi che le affollano la mente, cosa potrà mai dirle? Possibile che ella abbia scelto proprio lei per avere aiuto? Possibile che la ragazza spensierata che le scriveva felice di essere entrata nella congrega dei Maestri dei Veleni ora abbia tanto bisogno di aiuto da doverlo chiedere ad una amica quasi dimenticata? E che amica può essere lei che ormai non la conosce più, e che la ricorda con amarezza, come una amicizia fallita, lei non ha chiesto il suo aiuto quando ne ha avuto bisogno, non la riteneva la persona giusta, cos’ha in più lei per essere invece degna del trattamento che non ha riservato all’amica? Le è di fronte ora l’amica, e la allieva può facilmente notare le occhiaie che le segnano il volto e il pallore, che una volta donava radiosità al volto, ora segno di una spossatezza della mente, più che del corpo. Non sa che cosa dire, la dama, non trova le parole per rompere quel muro che si è creato tra loro, un muro trasparente che però entrambe percepiscono. Ma non c’è bisogno che ella parli ora, perché l’amica, che gia avea avuto la forza di chiamarla e di giungere fin li ora compie un altro passo verso di lei porgendole un piccolo involucro. “Grazie” è tutto ciò che riesce a mormorare la mediterranea, stupita da un gesto così semplice e così spontaneo, che la mette molto in imbarazzo e che le fa tornare in mente la madre, avvolta da vestiti complicati, con i capelli sempre avviluppati in complesse acconciature, e quei discorsi che lei tanto odiava, non avrebbe approvato il gesto di Oudine, “Non si deve mai fare un regalo che l’altra non può ricambiare, lo si metterebbe in imbarazzo, creando così una situazione spiacevole per entrambe” ma lei non è sua madre, e sa che all’amica non importa di non ricevere nulla in cambio se non la gratitudine sincera di un amica, sentimenti, ecco cosa sua madre non ha mai considerato, e sono i sentimenti che legano quelle due giovani così diverse. “Venite andiamo a sederci dobbiamo parlare di molte cose” dice infine stringendo in una mano il regalo e sfiorando con l’altra la spalla della venefica, invitandola così a seguire il suo movimento e i suoi passi che si dirigono verso uno dei divanetti ove, arrivata, si siede.


OUDINE [Sala Comune | divanetti] I piedi calzati in comode scarpe di nera pelle ora docili seguono quelli avvolti da celesti pantofole. Non odono più quei piedi la musica del cuore che batte all’impazzata, semplicemente, perché quel cuore ha smesso la sua folle corsa verso il nulla. Non corre più così veloce, perché non ha più motivi per temere. Ora la mente è passata ad una fase di completa apatia, gia prima non sapeva cosa i suoi stessi arti stessero compiendo, cosa stesse facendo in quel luogo e altrettanto ora è sprofondata nella sua stessa ignoranza, nella sua stessa apatia, lasciandosi dietro solo una scia di quello che è stato compiuto. Lasciandosi dietro null’altro che un ombra di quello che sta facendo e rifiutando di pensare o di immaginare un futuro. Lasciando che questo le scorra addosso, come mai avvenuto, come in una trance, come in un sogno. Chissà se mai riuscirà a svegliarsi, se quella sensazione svanirà come è venuta. Chissà…A dire la verità quelle che le tormentano la mente di domande sono un numero incommensurabile, quella sera. Solo in pochi attimi le domande a cui rispondere sarebbero troppe, anche per una che sapesse cosa rispondere a quelle domande. E lei non lo sa. Perché è venuta lì? Ha davvero bisogno di aiuto? Alla fine la sua decisione l’ha gia presa. Perché le ha fatto un dono? Per rinsaldare quella amicizia che è andata sempre più sfumando, sino a perdere i nitidi contorni e colori dei ricordi? No, solo perché glielo ha detto il suo Fantasma. No, solo perché sa che le chiederà qualcosa e sa di non poterle dare nulla in cambio. La sua è una consulenza quelle che chiede. Null’altro. Ma la loro amicizia, dunque dove è finita? Ma è davvero quella amicizia? Non sentirsi per tanto tempo pur abitando così vicine, al di la della piazza, vedersi solo quando una ha una richiesta da fare all’altra, portando, sì, un dono, ma è davvero così bello quel dono da poter perdonare tutto quel tempo? Si, ma lei non poteva, non poteva uscire, non poteva, non poteva vedere altre persone e lasciare che loro domandassero. “Perché hai quegli occhi tristi?” “Come mai non sorridi più come un tempo?” “Ma su col morale!” “Raccontami la tua storia”. “E’ perché sono un Assassina” “Perché ho ucciso un uomo” “No, se no uccido anche te” “Non vogliooo!!!” Ecco cosa avrebbe dovuto rispondere! Allora davvero avrebbero voluto sentirle quelle risposte? Ma sono solo scuse quelle che sta accampando in aria, non è vero, se oggi è uscita, perché non l’ha fatto ieri? Se oggi vuole parlare con Ewin poteva farlo anche tempo fa. Ma no, non poteva, allora era troppo traumatizzata. E ora invece? No? Se non lo fosse perché avrebbe bisogno di aiuto, allora? Eccole come ritornano quelle domande! E le risposte? Perché non giungono mai insieme ai quesiti? Perché quelle malfide serpi non vengono mai a farle visita e la lasciano sola in compagnia delle loro sorelle? Ma alla fine tra i due contendenti il terzo gode. E una parte e l’altra nel loro combattersi si annullano. Nero più Bianco fa Grigio. E alla fine è l’apatia a dominare quel piccolo fragile corpo, a guidarlo fino ai divanetti e a farlo cadere in corrispondenza del proprio mantello. Riprendendo così lo stesso posto prima occupato. Ma la posizione non è più la stessa, ora. Ora è seduta, sì, composta, ma con la schiena che arriva a sfiorare lo schienale del divano. Silenzio. Ah, l’amato Silenzio, compagno di tante notti e di tanti giorni, amante prediletto. Come mai però questa volta non l’allieta, ma anzi la irrita? Forse perché tra le due dame mai vi era stato e ora nel vederle così riunite, esuberante, si è imposto come unico interlocutore? Ma poi è lei a interromperlo, la prima ad ammutolirlo, a ricacciarlo, nei propri angoli. In fondo lei DEVE, è lei che ha chiesto aiuto, se no cosa sarebbe venuta a fare? “Ho bisogno di aiuto” parole che escono dalle sue labbra, dettate più dalla mente che dal cuore. La mente sa che è vero, ma il cuore non riesce ad accettarlo e perciò si è chiuso nel suo apatico mutismo in cui nega al cervello il suo apporto di sentimenti e di emozioni. Solo una cosa lo può turbare: i Fantasmi, ma per fortuna quelle parole spesso li cacciano in bui reconditi. “E’ per questo che vi ho fatto visita.” Una pausa. Lei non ha sorriso per il regalo ricevuto…Non ha sorriso, chissà se anche i suoi di fantasmi a sentire quelle parole si sono nascosti. “Per ringraziarvi di questo vostro aiuto, siccome io so bene di non potervi dare nulla in cambio, vi ho portato questo dono” e con il mento indica quel rosso sacchetto tra le dita della donna. Ha detto grazie, ma senza aprirlo. E questo l’ha un poco ferita, lei cerca di negarlo, era un pagamento, ma in fondo sa che quello l’ha ferita. “forse non sarà questo molto nobile da parte mia,” ma dove si è andata a cacciare la sua timidezza? Come è possibile che si sia nascosta anche lei? Non è mai avvenuto “Forse non sarà carino dimostrarvi che non sono venuta qui per rinvangare quella amicizia che ci aveva legato” Ma ancora le lega? L’altra l’ha chiamata ‘amica mia’… “e di questo me ne dispaccio. Ma non avrei scelto di chiedere a voi su una cosa che così mi turba, se io per voi non nutrissi ancora dell’affetto” Ma davvero è così? A dirlo lo sembra, ma il suo cuore chiuso nell’apatia non le risponde…Ma se no perché di quella ferita per non aver neanche guardato il suo dono? “Inoltre era tempo che io rompessi il mio silenzio, sono stata lontana da tutti a lungo e forse è giunto il momento di smettere” E’ davvero così potente quel veleno che Niniel le sta preparando che gia gli effetti dei suoi effetti si sentono? Ma davvero è giunto il momento? Davvero è pronta? O è solo l’idea di quel Veleno a farle credere che sia giunto il tempo? “E’ colpa mia se non ci siamo sentite così a lungo, è colpa mia, ma credo di aver avuto delle buone motivazioni” Davvero erano buone quelle motivazioni? Ma perché dicendo quelle parole ora sa per certo che sono vere? Dov’era stata quella verità prima di ora? “se mi concedete il vostro tempo ve le racconterò” E così iniziano a fluire tra le labbra secche e stanche delle parole in cui sembra nascosta più verità di quella che credeva vi avrebbe infuso. Credeva sarebbero state solo delle scuse, invece ogni cosa, dicendola, diventa reale, e reale lo è sempre stata, solo che lei non l’ha mai saputo. Allora fa davvero bene parlare con qualcuno, come dicono. Si perché le parole si ordinano nella sua bocca in lunghe file che formano frasi, e in questo ordine anche la sua mente ne trova uno. Sì, è questo quello che è successo. Sì. I falsi veli cadono, la sua apprensione e la sua rigidità crollano come muri non saldi al suolo. Lei è un Assassina, l’ha scoperto nei suoi ricordi come aprendo un baule dimenticato. L’ha evocato quella notte con Niniel. Questo l’ha tormentata, insieme a fantasmi che ora si sono nascosti sentendo il suono della sua voce farsi più deciso e più pulito. Poi la richiesta di quel Veleno che ora è quasi pronto. Alla fine di quel discorso saprà gia quello che farà: lo prenderà. Ma perché allora ha ancora così maledettamente paura? Termina il suo racconto non dicendo ancora tutte le sue parure, i suoi timori e i suoi dubbi, lasciando che l’altra li indovini e lasciando che tra entrambe torni, discreto, il Silenzio.

EWIN [sala comune, divanetti] la schiena appoggiata sullo schienale del morbido divanetto, le mani giunte appoggiate sulle gambe, ricoperte dallla veste azzurra, ben visibile è la fasciatura che ricopre del tutto il braccio sinistro, la bianca garza che cela l'oscuro motivo del suo malumore, ma è veramente quello il motivo del suo malesssere, no, non mlo è, in realtà è la paura e lo sconforto che come un velo l'hanno ricoperta dopo gli avvenimenti della biblioteca, e di cui non si riesce a liberare, il destino sempbra volere che sia solo Oudine a parlare, a dare colpi al muro di cristallo che le divide, a cercare di romperlo, è sempre e solo lei e la mediterranea lo avverte, avverte gli sforzi dell'amica, e avverte la sua delusione nel non veder risposta a quei gesti, o forse non avverte la delusione dell'amica, ma la sua, la delusione perchè si è resa conto che non riesce a fare gli stessi passi dell'amica? ma perchè? perchè non riesce anche lei a tirare un pugno contro quel muro e deve lasciar fare tutto a lei, non è vero che è solo colpa della venefica se quell'amicizia si è rovinata, in due si crea un rapporto in due lo si lascia morire, certo non ha ricevuto missive ma forse ne ha mandate? certo non è stata cercata, m forse ha cercato? la colpa è di entrambe, anzi più sua, perchè l'amica aveva veri motivi per non cercarla, soffriva e il suo racconto ne è testimonianza, quella dell'amica non è una scusa invece lei non solo non ha veri motivi per quel disinteresse, ma non riesce nemmeno a trovare una scusa plausibile, quindi tace, ascoltando l'amica, guardandola negli occhi e, sperando che possa essere degna del compito affidatole, ascolta. solo quando le parole hanno finito di fluire dalle labbra della ragazza si muoverà per poggiare la sua mano destra sulle gambe dell'interlocutrice, e, creto quel contatto fisico, proferisce finalmente verbo, che non siano saluti o formule di cortesia ''Sentire la vostra storia mi rattrista molto non solo per la tristezza che ora alberga in voi, e che è anche la mia tristezza, ma soprattutto perchè capisco quanto abbiate avuto bisogno di qualcuno amico, e di come io sia stata assente per voi, credetemi, mi sento molto in colpa, enon so come poter rimendiare se non offrendovi ora ciò che avrei dovuto darvi tempo fa'' prende fiato ora l'allieva, finalmente ha avuto il coraggio di scagliare quel pugno, aiutando così l'amica nell'impresa che servirà a far dinuovo rivivere la loro amicizia ''e non so come altro esservi amica se non dicendovi sinceramente ciò che credo dobbiate fare'' ecco, ora la parte più dificile, dare un consiglio, aiutare chi ne ha bisogno, ciò che lei dovrebbe fare quotidianamente, come membro di quella congrega, ora le sembra così difficile, e non solo per quel braccio chr giace inerme sul suo grembo, ma perchè chi ha bisogno ora è una persona che conosce, a cui tiene veramente, e le chiede aiuto per questioni profonde e realmente importanti così le parole escono incerete dalla bocca della dama, incete, ma con il tono più dolce che possa avere ora '' secondo me dovreste prendere quel veleno, ma no per sentirvi meglio, perchè, a quanto mi dite, purtroppo ciò non è certo, ma perchè può portarvi alla verità, e la verità e un dono immenso, da accettare sempre, una felicità costruita sull'ignoranza non è tale, come inutile è la tristezza che si basa su un se o su un forse, non potete accontentarvi di ciò, avete diritto alla verità anche se vi facesse stare male, ma credetemi'' ora sono i sentimenti che prendono il sopravvento sulla razionalità ''voi non siete una persona crudele, e una perdita di memoria non può aver cambiato ciò che siete, siete sempre stata così, solo che temete di no, ed è normale, ma vi assicuro che io credo in voi e in ciò che eravate, perchè di sicuro non può essere così diverso da ciò che ora siete'' fose queste ultime parole, dsettate dal cuore di un'amica appariranno confuse a chi le ascoltasse, ma è difficile spiegare i sentimenti, soprattutto per chi è sempre stata educata a celarli.

OUDINE [Sala Comune | divanetti] Le orecchie lasciano che il flusso delle parole si insinui tra il padiglione auricolare e il buco che costituisce l'orecchio vero e e proprio. Lascia che le parole entrino e si critallizzino in senso compiuto. In sentimenti, in emozioni. In comprensinone alla fine del significato di ognuno di quei suoni emessi. Ma non è il suono in se che le interessa, non la magia di come possano quelle parole essere comprese dalla sua mente. Ora è il significato che quelle parole assumono alla luce delle torce, alla luce degli eventi, quello che le importa. Lei è sempre stata la stessa e sempre lo sarà. Questo è quelloc he cerca di dirle la mediterranea? E'questo? Ma se lei non l'ha mai conosciuta realmente come è adesso? Quella che lei ha conosciuto era un riflesso della mente obnubilata da se stessa. Era una Lei falsa. E le persone cambiano, specialmente se sono state sottoposte ad aventi traumatizzanti. E non è quello di compiere un assassinio un grosso trauma? Non è questo gia il segno che lei è una mela marcia? Forse lo è sempre stata e non l'ha mai saputo, ma ora lo sa e deve ignorarlo? Le persone cambiano. Oppure sono sempre state così e nessuno lo ha mai saputo nemmeno loro stessi. Ma questa è una contraddizione. E non è forse lei donna in cui le contraddizioni si accavallano le une sulle altre? Non e lei nel suo stesso aspetto la pura definizione di contraddizione? In lei sopravvive l'uno e l'altro, il bianco e il nero, senza che mai essi trovino un punto in cumune. Come entità separate che la dilaniano e la scindono in due parti distinte. Due parti diverse, ma in fondo inscindibili. E sono queste due parti a formarla, a dare vita a quella donna che lei è. Ma come è possibile tutto ciò? Nemmeno lei lo sa. Sa solo che è così. Torna così quel senso di ineluttabilità del destino, del suo stesso io, delle sue azioni, di irreversibilità. E non sa come scacciare quella sensazione che le si appiccica sulla pelle, sui vestiti, sui capelli, come resina di pino, in primavera. ''Ciò che ero lo sono anche adesso. Solo che quando voi mi avete conosciuta ancora non lo sapevo. Ancora non sapevo quanto avevo compiuto” ecco, glielo ha detto. Tu non mi conosci, dicono quelle parole, ma non sono quello che realmente vogliono lasciar intendere. ''Se non sono una persona crudele, come voi dite, perchè avrei compiuto un Assassinio?'' ma no, è tutto sbagliato, non vuole sapere se è una persona crudele o meno. E di sicuro l'altra non potrà rispondere come farebbero i fatti. Il problema non sta lì, non sta nel prendere o moeno il Veleno, il problema sta nella sua paura, nella sua ritrosia avere paura è giusto o sbagliato? esiste un giusto e sbagliato? Il problema sta nel suo reale timore di quello che vedrà. Ecco è quelloc he la turba. Potrebbe vedere se stessa che uccide una persona solo per il gusto di farlo. Oppure presa da reali timori. Ma in goni caso sarebbe giuto averlo ucciso? Ecco cosa teme. Ecco su cosa ha bisogno di consiglio. ''Il problema però non sta qui. Ecco, è quelloc he potrei vedere che mi turba'' glielo ha detto e subito le è sembrato vero, come una realizzazione di pensieri inespressi.

EWIN [sala comune, divanetto] spera di essere stata utile all'amica la dama, ma teme che le sue parole possano risulatre vuote, infondo per dare veri consigli si deve conoscere chi si deve aiutare, e lei Oudine non la conosce, ha ragione ha dire che non può sapere in realtà chi lei sia, ma quelle dell'allieva erano parole confuse, dettate solo dai sentimenti, la vera risposta risiedeva nella prima parte del suo discorso, e si stupisce che l'amica non l'abbia colta, tanto da doverglielo richiedere, ma si sà che l'animo umano scinde e divide,e non tutto ciò che giunge all'orecchi viene realmente colto, o forse non è così, forse l'amica ha capito e colto tutto ma in nessuna delle sue parole ha trovato una soluzione, e quindi le ha ignorate, chiedendole invece un'altra soluzione, ed ora la dama si sforza per darle ciò che l'amica le chiede, provando a riformulare un pensiero,cercando le paroloe per convincere l'amica a fare un passo che ritiene sinceramente giusto ''non potete lasciare che la paura vi fermi, che vi impedisca di andare avanti, non potete continuare a vivere così, tormentata dai vostri fantasmi, dovete far sì che le cose cambino, ma solo voi potete farlo, solo voi dovete trovare la forza di compiere questo passo, e dovete trovarla nella speranza di un futuro migliore dal vostro presente, in un futuro libero da fantasmi, dovete trovarla nella ricerca della verità e della conoscenza, come potete voler rimanere nell'ignoranza, senza sapere cos'avete fatto, chi siete realmente, certo forse quello che scoprirete non vi piacerà, ma preferite realmente rimanere bloccata nel limbo dell'ignoranza'' si stupisce egli stessa delle parole che le escono di bocca, della forza che riesce ad imprimere a quei suoni [skill diplomazia liv. 1], per un momento si sente di nuovo quella bambina che riesce a convincere i servi a non dire ai genitori delle sue marachelle, per un momento si dimentica del terrore che l'avea avvolta, del braccio livido, dei tremori, per un attimo è di nuovo Ewin.

OUDINE – [Sala Comune | divanetti] Questa volta le parole fluiscono nelle sue orecchie come un ruscello montano, che gonfiato dalle frequenti piogge primaverili, si ingossa, sino a divorare attorno a se i propri argini, sino a scavare nella terra, abbattendo gli alberi al suo passaggio, pascendosi di quella nuova fame, che lo colora di marrone. Così anche quelle parole strabordano nelle sue orecchie, divorando al loro passaggio, una parte di quel nero terrore, di quello scuro abbandono, di quella buia pazzia, spazzando via gli argini che hanno bloccato le altre emozioni, lasciando così spazio ad un caos colorato, mai visto in quella desolazione bianca e nera. Al contrario del fiume, che da chiaro si scurisce nel nutrirsi, quelle parole si fanno più chiare, più distinte, più limpide mano a mano che si cibano del su nero. Che sia quello in Lume della Ragione? Che sia quello ciò che lei attendeva? Solo quel fiume dilagante di parole, che la convincessero in un proposito che nella mente gia era chiaro, ma a cui il cuore faceva fatica ad accostarsi? Forse perché quelle parole la fanno sentire, una stupida, una sciocca, perché la pungono in quel poco di orgoglio che le resta, che la fanno arrossire e vergognare di se? E per quello che adesso che il cuore si fa vicino alla mente, in un unità grigia, che mai da lungo tempo si era creata tra loro? Ora anche il cuore è quindi convinto? Ma perché non smette di battere di paura? Perché adesso alberga in lui, non più l’apatica ribellione, non più la sadica indecisione, ma bensì Paura e Coraggio, vive e forti, che non combattono, ma coesistono? Come è possibile? E’ questo umano? O è forse lei sono un piccolo oggetto in balia degli eventi? Oh, Dea, ma perché le tocca tutto ciò? Ma in fondo tutta questa sofferenza le sembra giusto che sia rivolta verso di lei. Sì, perché lei è Messaggera di Morte, Assassina. Ed è quindi legittimo che lei voglia liberarsi dei suoi fantasmi, che invece del tutto giustamente la tormentano? No. Ma ora per lo meno, vuole la verità, sapere chi è, sapere se ha ingannato se stessa, inizialmente, nel dirsi che è una brava persona, sapere se in realtà sono gli eventi che si sono presi gioco di lei, o se invece del tutto scientemente, e con cattiveria si è accanita su quell’uomo. Sì, egli l’aveva comprata, ma non per questo meritava di morire. Lei sarebbe riuscita a scappare! Ah, se avesse avuto i suoi Veleni, il suo Acido, allora egli sarebbe ancora in vita, lei sarebbe scappata e tutto sarebbe tornato normale: Lei e i suoi Boschi, da soli, per sempre. Lei non ha bisogno degli Uomini, e non comprendo perché essi abbiano così necessità di avere con se una Donna. Donna, come quella che le siede dinnanzi, un braccio fasciato, lo sguardo triste. Chissà cosa si nasconde sotto quegli occhi. Annuisce, per mostrare alla donna, almeno una parte dei sentimenti che la agitano. Non sorride, no, non è capace più di farlo con sincerità. Annuisce poi apre di nuovo le labbra per porre questa volta una domanda, non più così egoistica come le precedenti, ma stavolta il soggetto verte sulla Allieva che discorre con lei. “Si.” Pausa “E voi? Cosa vi è successo? Perché il sorriso non abita più il vostro volto? Cosa vi ha cambiata così radicalmente?”Parla con voce di miele che lenta e vischiosa si stacca dalle sue labbra, per librarsi nell’aria, pesante e strascicata. Ma Che stia nuovamente ingannando se stessa? Che quella domanda, non sia altro che un pretesto per cambiare argomento? Ma no, ora è convinta.


EWIN- +[sala comune, divanetti] il verde pallido degli occhi dell’allieva si perde nell’azzurro intenso di quelli dell’erborista, la osserva, mentre elabora le parole che poco prima ha pronunciato, mentre vede l’effetto che in lei hanno suscitato, spera veramente che le sue parole l’abbiano convinta, e non solo perché tiene all’amica, no, è più egoistico il motivo per cui la mediterranea spera di averla convinta, è perché così si accenderebbe in lei una speranza una piccola luce, una piccola fiammella che, seppur ricoperta da mille coltri di paura e tristezza che i recenti avvenimenti le avevano steso sopra, ora poteva tornare a riscaldare l’anima di quel corpo abbandonato. Solo egoismo spera che ora la venefica sia convinta, perché se così fosse lei avrebbe ritrovato se stessa, avrebbe ritrovato parte della sua forza, della sua determinazione, della sua felicità, ora l’allieva ha bisogno di vedere che può tornare quella di prima, che non ogni speranza è persa, che il sorriso per lei, come per l’amica, potrà tornare sul viso, con un po’ di coraggio, il coraggio di prendere un veleno, il coraggio di reagire e smetterla di cedere al dolore, il coraggio di cercare la verità, il coraggio di cercare la serenità e la pace, il coraggio di mettersi in gioco, rischiando qualcosa per ottenere qualcosa di meglio. La ragazza ora deve sapere che l’amica ha preso dal lei quel coraggio per poterlo trovare anche lei, in se stessa. Ed ecco finalmente la risposta che aspettava uscire dalle labbra dell’amica, ecco la luce riaccendersi in lei, ecco il piccolo lume della speranza tornare a brillare in lei. La domanda che segue non giunge inattesa, prima o poi sarebbe passato a lei il compito di parlare, di raccontare, di essere aiutata, di chiedere aiuto, e così è, e, nonostante le parole inizialmente fatichino ad uscire dalle labbra della mediterranea, detta la prima frase le altre seguono a ruota, velocemente, nel raccontare all’amica la storia di quella maledetta biblioteca. Alla fine del racconto non ci sono domande o richieste, nulla ha l’allieva da chiedere all’erborista, nulla ciò che vuole sentirle dire, desidera solo essere ascoltata, e parlare, togliersi quel peso, parlare, per superare la paura e lo sconforto.

OUDINE – [Sala Comune | divanetti] Come l’acqua cristallina dei laghi sui monti, circondati dalla verde erba primaverile, bagnata appena dall’ultima pioggia, così gli occhi della Nordica sono un pozzo in mezzo a quelli della Mediterranea. Occhi in cui forse trapela un poco di quella nuova strana convinzione. In cui forse riesce a passare quel filo che le lega l’una all’altra. Forse è da quel legame che sono nati tutti gli altri, un semplice incrocio di sguardi. Ma ora tante informazioni paiono scorrere su quel filo invisibile. Tanto tempo pare strisciarvi sopra e passare così da una mente a quell’altra. Tanti ricordi, tante memorie, prima dell’una e poi dell’altra. Una presenza oscura quella nella biblioteca.- E dire quello era il posto dove si erano incontrate! – Un altro Fantasma. Anche lei ne ha uno, e forse ben più reale del suo. Un fantasma capace di toccare, e con quel tocco di provocare dolore. E non un tocco immaginario come quello di Lui, ma un tocco sicuro, forte, capace di donare un dolore fisico oltre che psicologico. Ma ora le sembra che il dolore più grande che ella prova non sia quello strettamente fisico, ma anzi una paura, un gelo così terrificante, così spaventoso così pauroso. Ad un primo mento non crede appieno a quelle parole, non esiste quel genere di Fantasmi, solo quello creati dalla nostra mente, o che quello fosse uno di quei -come si chiamano?- diavoli, della religione del Dio morto? Ma poi come non credere a quegli occhi chiari intrisi di quella paura. Creder che lei sia pazza? Che sia convinta fermamente di quello che dice, ma in realtà completamente matta? Ma no come è possibile? Non può essere, se no lo sarebbe anche lei stessa, che giura di poter vedere il suo di Fantasma, sebbene sia un poco diversa la questione. Ma no, non crede sia ammattita, le crede sinceramente, crede nella sua paura, nel suo cieco terrore, nella sua tristezza che le offusca gli occhi chiari. “Non dovete, non dovete abbattervi così” inizia a favellare. No, non lo ritiene giusto. “Voi siete forte!” sa che lei lo è. “Se lasciate che la paura si annidi in voi e vi impedisca di vivere, la vostra esistenza non sarà più importante nemmeno per voi stessa. E se così fosse quell’…Essere avrebbe vinto su di voi. Avrebbe ottenuto un altro morto le cui grida parrebbero farsi udire dalle orecchie di qualche altro malcapitato. No, voi dovete lottare. Io lo so che voi potete farlo. So che quella Cosa che appare nei vostri sogni, nelle vostre giornate, che è il vostro chiodo fisso non vi lascia spazio per riflettere, per vivere una vita normale. Ma guardate, come vi ha ridotto! So che non dovrei essere io la prima a dirlo, dato che proprio io mi lascio così tormentare. Ma voi siete diversa da me. Forse io non vi conoscerò così bene, ma confido nella vostra forza. Se voi vi sforzerete di pensare ad altro, di vivere una vostra vita relegando quell’esperienza in un canto, io so che lo sconfiggerete. Se non riuscite da sola. Vi prego contattate qualcuno. Anche me, se avete bisogno! Io vi sarò accanto” Quelle parole non sa da dove le siano uscite, parole dette a chi, poi? A se stessa o a quella figura rattrappita nel dolore? Poi si alza in piedi, la mano destra afferra il lembo superiore dl mantello mollemente appoggiato sul divano. “Pensateci, e se avete bisogno…sono dall’altra parte della piazza. Ora però debbo congedarmi, tra poco la notte sarà così fonda che non riuscirò a trovare la via per tornare alla mia dimora. Vogliate congedarmi.” Un paio di passi muove verso la porta che la condurrà verso le scale e poi verso la via ed infine verso Casa. “Scrivetemi” dice e poi piano piano sussurra “Vi auguro una Buona Notte e che lo sia davvero” poi la sua chioma, i suoi capelli, il suo vestito e il suo manto spariranno alla vista. Ewin potrà solo immaginarla mentre scende la gradinata, mentre si asciuga una piccola lacrima che le cola solitaria lungo il volto scavato dalla sofferenza e dall’insonnia. Mentre pensa che anche lei vorrebbe per una volta fare una Buona Notte. Può solo immaginarla mentre i suoi rapidi passi zampettano via sul selciato scuro della notte in un nastro lastricato che la poterà nella sua Dimora e poi nel suo letto, ma non a dormire, ma anzi a vegliare sulla sorte della sua amica a cui penserà distesa sul letto, assonnata e senza pace.

EWIN – [sala comune, divanetti-à uscita] ora che la sua storia è stata raccontata non può far altro che ascoltare la verità nelle parole della venefica, ascoltarle fluire nelle sue orecchie, non può che concordare la mediterranea, con le parole dell’amica, dovrebbe veramente ascoltarle, e reagire, non lasciarsi abbattere, ma questo l’ha sempre saputo, e una voce in più che conferma ciò che già sa non può cambiare molto le cose, perché chi veramente può cambiar5e le cose è lei, mettendo in pratica ciò che già molte voci le hanno detto, ma non è così semplice, ciò che a parole è facile dire il corpo e la mente fanno uno sforzo enorme a fare, ma ora, grazie a quella fragile dama sa che per quanto possa essere difficile ce la può fare, ci può riuscire, magari tra qualche alba, o luna, ma ora sa che prima o poi ci riuscirà, e una nuova speranza le brilla dentro. Non è dispiaciuta di congedare l’amica, infine, si sono aiutate molto quella sera ed è giusto che ora il buio abbia il sopravvento, che la dama torni alla sua dimora “Auguro la stessa cosa anche a voi, e spero di rivedervi presto” risponde quindi con dolcezza, e osserva l’amica uscire dalla sala comune, con eleganza, nonostante la fragilità del corpo e la stanchezza della mente. Sta per alzarsi l’Allieva, per tornare nella sua stanza e concedere riposo alle membra stanche, le mani si appoggiano sul divano e iniziano a spingere per aiutare la schiena a sollevarsi, quando dalla porta giunge una figura nota, quella del custode della torre, che, con calma, si avvicina all’allieva, con un sorriso disegnato sul volto e una missiva tra le mani. Appena Maxim giunge vicino alla mediterranea che ormai si è completamente alzata le porge la missiva e proferisce poche parole con tono gentile “Questa me l’ha data per voi Messer Gaudiel qualche ora fa, ma non volevo disturbare il vostro colloquio quindi ve la porto solo ora, spero di aver fatto bene” la ragazza prende quindi in mano la missiva che il custode le porge per poi rispondergli “avete fatto bene Maxim,vi ringrazio molto”. Un lieve inchino è il segno di congedo del custode che, come era giunto ora se ne va lasciando la dama sola nella grande sala. Le mani della mediterranea apre velocemente la busta, certa che conterrà notizie delle sacerdotesse e del lavoro del suo custode per farla guarire. Gli occhi leggono in poco tempo la missiva, nessuna reazione però si dipinge sul volto della giovane, le mani richiudono il foglio, poi, finalmente, un lieve sorriso si dipingerà sul volto della giovane, ecco, finalmente qualcosa si muove, i primi passi verso la guarigione vengono compiuti, ed ora tocca a lei muoversi, ed è proprio quello che farà, seguirà le istruzioni che le da il suo tutore alla lettera, salirà nella sua stanza, preparerà pochi bagagli, saluterà semola con tante carezze sperando di rivederlo presto, su un foglio che lascerà a Maxim con il compito di affiggerlo in bacheca scriverà poche righe per la congrega, scenderà le scale aiutata dal custode a portare il bagaglio, salirà sulla carrozza già pronta fuori dalla torre, e, solo quando sarà già fuori dalla cittadina si renderà conto di essersi dimenticata di consegnare a Maxim il foglio.


Grazie per l'attenzione


=Trago=
00lunedì 1 dicembre 2008 16:23
//SKILL STOICISMO LIV 1 APPROVATA
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