Nascita di Giovanni Battista (Luca 1:15)
Nascita di Giovanni Battista (Luca 1:15) L’angelo Gabriele fu incaricato di annunziare due buone notizie, l’una al sacerdote Zaccaria, l’altra a Maria di Nazaret; ma le circostanze e la portata di questi due messaggi offrono più di contrasto che di similitudine. Zaccaria e la sua moglie erano entrambi giusti davanti a Dio, camminando in tutti i comandamenti e le ordinanze del Signore, senza rimprovero; e però erano già divenuti vecchi, ed Elisabetta era sterile. Non possiamo noi vedere in essi l’immagine d’Israele pio sotto la legge, e dell’incapacità di quest’ultima per produrre del frutto anche nell’uomo rigenerato? Or essa non produce maggior intimità con Dio di quanto produca del frutto, poiché Zaccaria, quest’uomo d’una pietà esemplare, vedendo l’angelo, fu turbato e colto da spavento. Infine essa non produce la confidenza, che la grazia solo può fare nascere. Il sacerdote sotto la legge è incredulo al messaggio della grazia che Gabriele gli annunzia, e perciò questo rappresentante d’Israele resterà muto, finché la divina promessa avendo il suo compimento in grazia, egli potrà, come più tardi il residuo, celebrare l’autore della sua salvezza.
Maria non è soltanto un’anima pia, ma un’anima umile e semplice, un oggetto di grazia e non un rappresentante della legge. — «Hai trovato grazia presso Dio» le dice l’angelo. Ella è sottomessa: «Ecco, io sono la serva del Signore», e la sua confidenza è nella parola di Dio, perché aggiunge: «Mi sia fatto secondo la tua parola» (Luca 1:30,38).
Notate ora il contrasto fra i due messaggi. Giovanni doveva essere «grande davanti al Signore». Di Gesù l’angelo dice: «Questi sarà grande». Ritorneremo su questo soggetto in un’altra meditazione. Per ora osserveremo che la grandezza di Giovanni Battista dipendeva dalla persona della quale egli era il precursore, mentre Gesù era grande in Sé stesso e per Sé stesso. Da dove io scrivo, vedo al levare del sole che l’ombra d’un castagno qui vicino, prende delle proporzioni gigantesche; però essa non è l’immagine della grandezza dell’albero, ma il testimonio del levare e dello splendore del sole. Tale fu Giovanni: egli fu grande perché ebbe l’onore insigne d’essere il messaggiero di Colui del quale l’angelo diceva: «Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo; e il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre. Egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà mai fine!» (Luca 1:32,33).
Ma le parole di Gabriele: «Egli sarà grande davanti al Signore» non esprimono tutto ciò che doveva caratterizzare il Battista, poiché vi aggiunge: «Non berrà né vino, né bevande alcoliche». Questo è il nazireato, o per lo meno ne è il primo indizio. Giovanni non poteva essere grande davanto al Signore, se non essendo Nazireo. Nel capitolo 6 dei Numeri vediamo che il nazireato consisteva nel «separarsi per il Signore». C’erano tre segni distintivi: il primo, il nazireo doveva astenersi dal vino e dalle bevande alcoliche; poi lasciarsi crescere i capelli; ed infine non entrare in contatto con nessuna persona morta. Egli si privava del vino, segno della gioia per il cuore dell’uomo naturale nella società dei suoi simili; i suoi lunghi capelli annunziavano che egli abbandonava la dignità ed i diritti dell’uomo per essere sottomesso alla volontà di Dio, riconoscendo i diritti che aveva su di lui; evitava infine tutto ciò che poteva metterlo in contatto con il peccato, il cui salario è la morte. Tale era l’ordine ed il segreto del nazireato: la separazione per Dio non poteva sussistere che per queste tre cose; ed esse furono realizzate nella vita di Giovanni Battista. In questo passo però, egli ci è presentato come separato specialmente da tutto ciò che costituisce la gioia dell’uomo socievole. Il mondo, vedendolo, diceva senza dubbio che era un triste lugubre misantropo; ma si sbagliava di grosso, poiché quella gioia naturale, la sola che il mondo conosca, era surrogata nel cuore del profeta da una gioia che il mondo ignora e che non può apprezzare — quella gioia prodotta dalla comunione del Salvatore. Queste due gioe si combattono e si distruggono a vicenda, e non è che rinunziando man mano alla prima che noi godiamo gradatamente della seconda. La gioia divina fu uno dei tratti caratteristici di quest’uomo austero, durante tutta la sua carriera. Fanciullino miracoloso nel seno di sua madre, il suo primo movimento è un salto d’allegrezza, quando giunge agli orecchi di Elisabetta la voce della madre del suo Signore (Luca 1:44); e quando termina la sua corsa, egli dice ancora; «Questa gioia, che è la mia, è ora completa» (Giov. 3:29).
Non dimentichiamo che ogni cristiano è chiamato ad essere nazireo, e che, sotto quest’aspetto, non si tratta più d’una classe speciale di persone fra il popolo di Dio. Non è anche più questione per noi d’una separazione esteriore o di forme, come per il nazireato giudaico; il nazireato attuale, la separazione per Dio, è interna. Senza che il mondo li capisca, ne vede gli effetti nella vita, nella gioia, nella potenza; ma la separazione stessa è un secreto tra l’anima e Dio. Proclamare che io sono separato, non fa che tirare l’attenzione degli altri sopra di me; dire che io sono sottomesso a Dio e che dipendo da Lui, basta già per dimostrare che non lo sono più, poiché attribuisco qualcosa a me stesso; svelo in tal modo il mio segreto al mondo, ed offro, come Sansone, la mia capigliatura alle sue forbici. Dal momento che Satana ed il mondo conosceranno il segreto della mia forza, non avranno più riposo finché non me l’abbiano rubato.
Ma se ci sono cristiani abbastanza soddisfatti d’essi stessi per divulgare la sorgente del loro nazireato, ne vediamo altri invece, che non cessano di parlare dei loro peccati: due estremi, certamente, ma due forme dello stesso orgoglio. L’uno non vede le macchie del suo abito, e l’altro le mette in mostra; ma entrambi dimenticano le sole cose necessarie, l’umiliazione e la purificazione.
Se abbiamo mancato in qualche punto al voto del nostro nazireato, se ci siamo contaminati con un morto, è però possibile d’essere ristorato; rientriamo in noi stessi, e con l’umiliazione troveremo la purificazione (Num. 6:9-12). Ma ahimè! peccando, una gioia come quella di cui godeva il Battisti, ed una potenza come quella che aveva l’uomo di Sorea, Sansone, sono perdute. Quindi bisogna ricominciare, ma prima che Sansone riacquistasse la forza sufficiente per abbattere le colonne del tempio di Dagon, ci andò molto tempo!
Alle parole: «Non berrà né vino, né bevande alcoliche», Gabriele aggiunge: «e sarà pieno dello Spirito Santo fin dal grembo di sua madre». La potenza speciale dello Spirito Santo è lì come legata al nazireato. Molti cristiani s’immaginano che essere ripieno dello Spirito Santo sia una grazia speciale che non possono avere se non certe persone privilegiate fra il popolo di Dio. Ma la cosa non è così: questa condizione è di fatto lo stato normale del cristiano; egli è qualificato per essere ripieno dello Spirito Santo, cioè affinché lo Spirito comprima ed annulli ogni manifestazione della carne che egli porta in sé. Ogni credente è un tempio dello Spirito Santo, ma non tutti ne sono ripieni; e perché? Forse che allo Spirito Santo manca la potenza per farlo? No certo, perché non sarebbe più il Santo Spirito di Dio. Forse che noi non possiamo far altro che contristarlo? In questo caso non siamo credenti affrancati. Cosa manca, dunque, ai cristiani affrancati per essere ripieni dello Spirito? La realtà del nazireato, come è detto in Efesini 5:18: «Non ubriacatevi! Il vino porta alla dissolutezza. Ma siate ricolmi di Spirito».